I dibattiti del lunedì: territorio e ambiente
In studio i candidati al Consiglio di Stato: Fiorenzo Dadò (PPD), Claudio Zali (LEGA TI), Nicola Pini (PLRT), Ivo Durisch (PS), Francesco Maggi (VERDI), Germano Mattei (MONTAGNA VIVA)
Dentro il partito: il PLR
I candidati al Governo ticinese intervistati da Massimiliano Herber
Ospiti della quinta puntata di “Dentro il partito”, i candidati al Consiglio di Stato ticinese della lista del PLR: Michele Bertini, Alex Farinelli, Natalia Ferrara Micocci, Nicola Pini e Christian Vitta.
Rivedi la trasmissione del 23 marzo 2015
Albachiara intervista Nicola Pini: “Idee, confronto e dialogo”
“Buongiorno Ticino. Ripartiamo dopo, spero, qualche ora di sonno. Ripartiamo per una nuova giornata. E ripartiamo anche per un futuro politico fatto di idee, di confronto e di dialogo: Ripartiamo assieme, se lo vorrete. Politicamente sono stato presidente cantonale e vicepresidente nazionale dei giovani liberali, sono presidente distrettuale del Locarnese, sono stato candidato al consiglio Nazionale nel 2011 e nel 2012 ho sfiorato per una manciata di voti la presidenza del partito, di cui sono vicepresidente. E sono felicissimo di poter passare questa mattinata assieme a voi”.
Ascolta la trasmissione integrale
RSI, Albachiara, mercoledì 8 aprile 2015
“Più impegno sulla scuola oggi siamo fra gli ultimi per la spesa pro capite”
Avere due miliardi da investire sarebbe un sogno”. E il sogno di Nicola Pini, 30 anni, candidato plrt, è quello di una politica che prima di tutto pensi a migliorare le condizioni quadro per un rilancio del Ticino. “Il primo ambito d’investimento dovrebbe essere quello della formazione, della scuola, della cultura”. Un obiettivo che parte da una constatazione critica sullo stato attuale: “Oggi come Ticino spendiamo poco per la scuola, siamo fra gli ultimi Cantoni per spesa pro capite per allievo. Dobbiamo invertire la tendenza”.
Anche senza avere proprio tutti e due i miliardi, per Pini, è necessario investire di più nella scuola dell’obbligo, nei servizi parascolastici, nelle mense, nei trasporti, nel doposcuola, nell’orientamento professionale. “Occorre poi promuovere un cambiamento culturale nelle famiglie e nei giovani verso la formazione professionale, che oggi può garantire anche una migliore prospettiva di carriera rispetto al liceo”, sostiene Pini, che punterebbe in modo consistente sulla formazione continua: “Dobbiamo renderci conto che il posto fisso oggi non esiste più, che nel corso della vita professionale occorre rinnovarsi, adeguarsi, migliorarsi. Cambiare. Per questo nell’attuale mercato del lavoro l’investimento nella formazione continua diventa un’esigenza sempre più forte”.
Formazione, ma anche sostegni all’innovazione, alla ricerca, alle start-up più che mai necessari per potenziare le condizioni quadro del “sistema Paese”. “Ma non bisogna dimenticare gli investimenti per le infrastrutture. Penso alla mobilità fisica, al miglioramento dei collegamenti ferroviari necessari con l’arrivo di Alp Transit, ma anche a quelle stradali ormai molto intasate. Mobilità fisica e mobilità dei dati, ovvero connettività veloce per tutti che deve diventare la nostra nuova frontiera perché significa nuove professioni, nuove modalità di lavori, nuove opportunità per tutti”.
NicolaPini, Vicepresidente del Plrt, 30 anni, di Locarno, candidato liberaleradicale per Consiglio di Stato
Il Caffè, domenica 5 aprile 2015
La scuola deve venire
La scuola che verrà è la proposta – con pregi e difetti – di Manuele Bertoli per rilanciare il tema formazione nell’agenda politica cantonale. La scuola che non verrà è invece la risposta di non entrata in materia degli oppositori: uno slogan elettoralistico e conservatore che a dirla tutta mi fa rabbrividire, perché la scuola deve venire. E deve venire dopo un profondo e ampio dibattito pubblico. Di questa necessità ne tenga conto chi spinge a tutto gas una nuova e diversa scuola che verrà e chi, invece, sta facendo di tutto per non lasciarla neanche partire. Nell’uno come nell’altro caso la sostanza delle cose non cambierà.
È tempo di intavolare un dibattito vero sulla scuola. Un dibattito che sfugga alle solite tiritere, oscillanti tra il conservatorismo, l’utilitarismo e l’ipocrisia, con proposte semplicistiche e reboanti che pretendono di risolvere tutto: l’educazione civica, l’insegnamento del salmo svizzero, i tablet, le giornate del volontariato, le varie educazioni “mirate” (e fuori contesto).
La buona scuola, infatti, è innanzitutto un’idea. Un’idea di partenza sul senso del suo operato e dunque sul tipo di cittadino e di società che deve contribuire a costruire. In questo senso ogni decisione di fondo sulla scuola è la decisione più politica che ci sia. È il cuore stesso della politica. La scuola, è giunto il momento di ribadirlo, o è un progetto politico nel senso più alto del termine, o non lo è. Solo così potrà essere ciò che deve essere: un luogo in cui non solo si apprendono nozioni, ma anche dove si formano caratteri e personalità, dove si definisce un approccio al mondo, agli altri, ai problemi e alle opportunità della vita. La scuola di oggi è il Paese di domani, il suo prodotto interno lordo e il suo mercato del lavoro, ma soprattutto i suoi valori, la sua tenuta e la sua coesione.
Tra le cose positive del progetto Bertoli rivedo i valori di sempre (in particolare il concetto di scuola integrativa), il fatto di favorire la collaborazione fra docenti, il desiderio di estrapolare le potenzialità degli allievi e il ritorno di una certa manualità. Tra le cose negative una scarsa attenzione alla scuola dell’infanzia, il delicato passaggio tra scuola media e scuola media superiore (in particolare al Liceo) e la questione – non secondaria – del finanziamento delle riforme. Discutiamone insieme dunque. Perché liquidare la proposta del Decs come ideologica è altrettanto ideologico; e decisamente poco liberale radicale. Anche perché noi siamo per una politica per, non per una politica contro. Soprattutto quando si parla di giovani e futuro.
Dieci candidati sostenuti da ALRA
La svolta per una politica dei fatti
GIACOMO GARZOLI, NICOLA PINI
Speciale Elezioni – La Regione del 26 marzo 2015
Nicola Pini
Candidato al Consiglio di Stato per il Plr
1 Si dice manchi oggi in Ticino una ‘cultura politica’. Condivide?
La cultura politica non può scindersi dalla cultura democratica, la quale non può sopravvivere senza i partiti, che a loro volta non possono sopravvivere senza il coinvolgimento dei cittadini. Il pensiero liberale e democratico deve dunque tornare ad aprirsi e a riproporre con forza i suoi valori fondanti. E qui non penso solo a libertà, responsabilità, solidarietà e giustizia, ma soprattutto al gusto del dubbio e del dialogo, all’approfondimento, alla tolleranza e al rispetto, sia di chi la pensa diversamente sia delle istituzioni, alla collegialità, alla trasparenza, alla voglia di costruire. Solo così rimetteremo in sesto una democrazia purtroppo oggi malaticcia.
2 Come giudica i rapporti fra Canton Ticino e resto della Confederazione?
Buoni, ma da coltivare maggiormente. Da un lato la Confederazione fatica a capire alcune peculiarità del Ticino, dall’altro il Ticino tende a ricercare sempre delle scorciatoie. C’è chi dice che bisogna battere i pugni sul tavolo per farsi rispettare da Berna, come se l’arroganza pagasse. Io credo invece che dobbiamo presentarci a Berna con argomenti, proposte e persone credibili, magari anche con alleanze puntuali con altri Cantoni: solo così si è ascoltati a Berna. Ho già iniziato a lavorare in questo senso, incontrando consiglieri di Stato di altri Cantoni e portando in Ticino Pierre Maudet, che prima o poi vedremo in Consiglio federale. Tornare a un’empatia vitale è la strada, senza accuse velate e piagnistei.
3 Ticinesi vittime o autolesionisti?
Il ticinese, dopo un passato di coraggio e senso dello Stato, sta vivendo una crisi di fiducia – in se stesso e negli altri – a causa delle false identità, delle denunce strumentali e delle promesse da marinaio portate avanti dall’antipolitica. Si tende così al disfattismo e all’aggressività di chi crede che siano sempre gli altri a doverci salvare la vita (lo Stato) o che siano altri che ce la avvelenano (gli stranieri, l’Europa). Mai come oggi, però, abbiamo la necessità di prendere in mano il nostro futuro, senza paura di rimetterci in discussione: finite le rendite di posizione in ambito economico, finanziario e turistico, sta a noi decidere che Ticino vogliamo. Io lo voglio libero, ottimista, orientato al futuro, aperto e competitivo.
4 Come si conserva l’autonomia cantonale? Cosa non funziona oggi nel federalismo?
Il federalismo è basato su chiari compiti delegati ai Cantoni, che hanno un propositivo margine di decisione. Sempre più, la Confederazione tende a occupare mansioni che prima non le competevano, col risultato di applicare soluzioni che vanno bene a Zurigo ma non sono altrettanto valide in Ticino o nel Giura. Dall’attenzione a tutte le diversità, ora il federalismo tende a omologare, il che è negativo. Credo nel principio della sussidiarietà, inteso come lo svolgere il compito al livello istituzionale più funzionale e prossimo al cittadino: e questo non solo tra Confederazione e Cantoni, ma anche tra Cantoni e Comuni.
5 Favorevole o contrario agli Accordi bilaterali con l’Ue?
Favorevole. Che poi si possano sistemare alcuni aspetti è chiaro: come in ogni rapporto con gli altri, ogni giorno è buono per migliorare. Dobbiamo combattere l’effetto sostitutivo, il dumping salariale e il traffico parassitario là dove ci sono, ma non possiamo fare a meno degli Accordi bilaterali. Anche se impopolare, occorre ribadire che in Ticino la disoccupazione sì aumenta, ma meno rispetto a chi ci circonda; che sì dal 2008 i frontalieri sono aumentati di 18’000, ma che i posti di lavoro in più sono stati 28’000 (10’000 sono dunque andati a residenti); infine che il salario mediano dal 2002 è aumentato di 700 franchi. Chi dice che queste sono cose scontate imbroglia i cittadini e mette a repentaglio il futuro del nostro Paese.
6 Valore aggiunto. Ci faccia un esempio.
Abbiamo diverse aziende nell’ambito dell’elettronica e della meccanica, come nel life sciences e nel biomedicale. Dobbiamo poter attirare e creare quelle aziende innovative che sapranno rilanciare la nostra economia uscendo da quella prigione in cui si è rinchiusa dove il solo “valore aggiunto” sembra essere la manodopera a basso costo. Ma non è facile, perché non c’è la coda di imprese virtuose e le idee geniali non cadono dagli alberi: per questo dobbiamo continuare a investire massicciamente nella formazione, nella ricerca e nelle start-up.
7 Più o meno prestazioni dello Stato e perché?
Non è questione di più o meno, ma di come e quando. Lo Stato deve investire in salute e istruzione, ricerca e innovazione, cultura e lavoro, senza togliere nemmeno un franco, anzi aggiungendone. Invece di sparpagliare contributi a tutti, anche a chi non ne ha (più) bisogno, lo Stato deve fornire aiuti mirati e al contempo favorire la creazione di posti di lavoro con l’intento di appianare le diseguaglianze sociali.
Non cediamo all’antipolitica
Mi dispiace leggere che per il presidente del partito socialista Saverio Lurati avere due liberali o due leghisti in Governo sia la stessa cosa. Per me avere un socialista o un verde non lo è. In un Governo composto da più partiti e persone e dal quale devono emergere proposte, riforme e visioni, non si può fare astrazione dai compagni di viaggio. Altrimenti si abdica al ruolo stesso della politica, preferendovi la sola gestione del proprio orticello.
Ora più che mai è il momento di porre le basi di un progetto fatto da una politica pulita, seria, che formi i giovani al senso civico, alla responsabilità e ai valori democratici e repubblicani, ai quali io credo. Un progetto politico per uno Stato che permetta alla sana imprenditorialità di svilupparsi e che al contempo assuma un ruolo attivo per impedire gli abusi nel mercato del lavoro e favorire il dialogo fra parti sociali. Uno Stato laico e tollerante, con una scuola pubblica di qualità. Uno Stato che garantisca la giustizia, in tutti gli ambiti, con una socialità mirata. Uno Stato che valorizzi i suoi funzionari e non permetta che vengano chiamati fuchi. Uno Stato animato da una politica progressista e aperta, agli altri e al futuro. Una politica tanto coraggiosa da riattivare gli oltre 1000 edifici industriali dismessi, tanto visionaria da liberare le strade dal traffico andando oltre le misure sui posteggi e tanto moderna da battersi per la parità di genere e l’interculturalismo.
Ora più che mai è il momento di riaffermare al centro della politica non solo il senso dello Stato, ma anche la decenza istituzionale, il principio della legalità e una cultura politica del confronto e del compromesso. L’antipolitica non è solo inerzia politica, ma è degrado della società: sdoganamento dell’insulto e del pubblico dileggio di chi è diverso o semplicemente di chi la pensa diversamente, sfiducia nelle Istituzioni, trionfo della demagogia e dell’indifferenza. Quell’indifferenza che è la morte non solo della democrazia, ma dell’uomo stesso. Liberalismo, democrazia e socialismo hanno in comune il rilievo e la valorizzazione della personalità umana. È questo un valore fondante della politica, determinante per cambiare rotta. Possibile che gli errori del passato ci condizionino tanto? Possibile che ci si sia spinti tanto oltre da nemmeno più considerare chi condivide gli stessi valori, mettendo tutti i politici sullo stesso piano? Non è forse anche questo un cedimento all’antipolitica? Ma allora cosa succederà dopo il 19 di aprile? Continueremo su strade parallele e con i paraocchi? No! Il mio è un appello, nemmeno fine a se stesso, o a me stesso, è un appello alla consapevolezza del vortice nel quale arrischiamo di cadere se i sentimenti e le sensibilità più nobili dell’uomo non riusciranno a prevalere. Chissà che da questo colpo di reni non nasca veramente un nuovo progetto politico per il Ticino. Le elezioni del 19 aprile sono l’occasione per riscattare il nostro Paese, nessuno dovrebbe restare indifferente.
Corriere del Ticino, sabato 21 marzo 2015
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