Nuovi genitori, nuove politiche
Oggi si parla di asili nido quasi solo per denunciare abusi salariali e quasi mai in termini di necessità, efficienza, accessibilità; stesso discorso per la conciliabilità lavoro-famiglia, dove al centro è posizionato quasi unicamente il ruolo della donna e non anche il ruolo dell’uomo e il beneficio per il bambino. Il tema va però ampliato e affrontato in termini di società: famiglia, ruolo dell’uomo e della donna; lavoro e carriera; educazione e prima infanzia. Compito della politica è infatti adeguare costantemente le politiche pubbliche all’evoluzione della società.
Di fatto, oggi la situazione è cambiata rispetto a qualche decennio fa: i neo-genitori hanno tendenzialmente meno tempo da dedicare ai figli nei primi anni di vita, in quanto spesso entrambi impegnati professionalmente per scelta (passione o ambizione) o per necessità (finanziaria); al contempo, vi è un numero crescente di neo-padri disposti ad assumersi nuove responsabilità nella cura dei figli. Un’evoluzione, questa, che impone un ripensamento delle politiche sociali e del lavoro: occorre ad esempio
- favorire i tempi parziali – anche per le funzioni dirigenziali – e il lavoro flessibile;
- introdurre dove possibile il telelavoro (lavoro da casa) per uno o due giorni la settimana, ciò che peraltro permetterebbe anche di ridurre il traffico e schiudere nuove opportunità per le regioni periferiche;
- regolamentare un congedo paternità di almeno 10 giorni sull’arco del primo anno di vita del bambino, per ridurre il rischio di depressione post-parto, che tocca una donna su dieci, come anche per facilitare il rientro nel mondo del lavoro delle neo-mamme;
- e, infine, assicurare un numero adeguato di strutture ricettive, come famiglie diurne e asili nido, a cui affidare non solo la cura, ma anche (parzialmente) l’educazione dei bambini nei primi anni di vita.
Strutture che siano quindi di qualità – e non semplicemente dei posteggi… – e accessibili finanziariamente, da capire se attraverso un rafforzamento finanziario delle famiglie più fragili, attraverso un sistema di rette variabili o un aumento del sovvenzionamento alle strutture stesse. In questo senso, l’ente pubblico deve assumersi anche un ruolo di stimolo e coordinamento, ad esempio favorendo un ragionamento di messa in rete tra aziende. Il Cantone non può certo limitarsi ad auspicare l’azione da parte delle aziende, spesso confrontate a importanti costi (seppur investimenti), mancanza di competenze specifiche e soprattutto di massa critica: per questo le imprese vanno incentivate e accompagnate nella realizzazione dei nidi interaziendali. Lo stesso discorso potrebbe inoltre essere portato anche sul piano dei Comuni, in termini di consorzi, proprio come fatto qualche decennio fa con le case per anziani, con le quali si potrebbero peraltro attivare sinergie all’insegna dell’intergenerazionalità.
È davvero il momento di agire, non solo perché a chiederlo è di fatto una nuova generazione alle prese con computer e fasciatoi, ma anche perché in ballo, nell’agenda politica cantonale, vi sono le riflessioni attorno a una riforma della fiscalità delle imprese con le relative misure sociali accompagnatorie annunciate dal Consiglio di Stato, come anche l’elaborazione di un controprogetto all’iniziativa popolare “Asili nido di qualità per le famiglie” da parte della Commissione scolastica del Gran Consiglio. Occasioni da non perdere per una politica che pretende – legittimamente – di guardare al futuro.
Un sacco di energia
Quando le urne chiamano il cittadino deve rispondere. E non è sempre un compito facile. Da parte mia – seppur con qualche riserva – la decisione è presa e si concretizza in due SÌ, perché nessun amante della libertà – come sostanzialmente è il cittadino ticinese – può rifuggire la responsabilità, anche se comporta qualche sacrificio.
Una responsabilità che si ritrova nella generalizzazione – e non nell’introduzione! – della tassa sul sacco che si basa sul principio di causalità, secondo il principio “chi inquina paga” e “chi ricicla risparmia”, incentivando così una gestione dei rifiuti più razionale e oculata. Una responsabilità non solo ambientale, ma soprattutto una responsabilizzazione del cittadino, visto che le buone abitudini sono premiate. Che sia una politica efficace – anche se lo ammetto più impegnativa – lo si intuisce dal fatto che si va a toccare il portamonete, ma anche e soprattutto dall’esperienza maturata: i Comuni che hanno introdotto la tassa sul sacco hanno conosciuto un aumento della raccolta differenziata del 20% (media degli ultimi 5 anni) e una diminuzione del 30% dei rifiuti solidi urbani. Diminuzione che, con la nuova regolamentazione cantonale, è stimata al 15%. E a chi teme di pagare lo scotto, ricordo che per le fasce a basso reddito, gli anziani e le famiglie con bambini piccoli i Comuni potranno se del caso prevedere delle facilitazioni, come è giusto che sia.
Un SÌ di responsabilità anche per la Strategia energetica 2050: anche in questo caso in favore dell’ambiente, certo, ma anche di una delle (poche) ricchezze del nostro Cantone, l’acqua, un settore strategico e fondamentale in termini di approvvigionamento energetico e di posti di lavoro. In Ticino non abbiamo il vento del nord o il sole del sud, ma abbiamo l’acqua: il vero oro di cui disponiamo e che dobbiamo sostenere e valorizzare; anche perché, oggi come oggi, l’idroelettrico è in difficoltà a causa dei costi di produzione fuori mercato. La strategia energetica proposta dal Consiglio federale fornisce una prima – seppur lieve – risposta al problema, iniettando risorse finanziarie nell’idroelettrico (per il Ticino si stimano 5 milioni di entrate in più). La graduale uscita dal nucleare, inoltre, metterà l’idroelettrico nella condizione di giocare un ruolo importante, grazie in particolare alla sua flessibilità che permetterà di compensare le oscillazioni sia delle nuove energie rinnovabili, sia delle importazioni dall’estero, che sarebbe pericoloso ritenere garantite. Due scelte di responsabilità oggi, quindi, per garantire la libertà anche domani e dopodomani.
* Pubblicato sul Corriere del Ticino di oggi
Mobilità aziendale 2.0: dalle parole ai fatti
Fa piacere vedere che, passo dopo passo, si sta concretizzando la mobilità aziendale 2.0. Una politica che oggi, a differenza di ieri, può beneficiare – anche grazie a una mia mozione parlamentare – di un fondo di 2 milioni per finanziare non solo gli studi (che poi rimanevano nei cassetti), ma anche e soprattutto misure e progetti concreti da realizzare in favore di una mobilità più razionale. Una prima differenza, questa, che si somma a un altro importante cambiamento di paradigma rispetto alla vecchia mobilità aziendale: ora non si ragiona più unicamente in termini di singole aziende, che spesso non hanno i numeri, le condizioni, il tempo e le risorse per implementare delle strategie realmente attraenti ed efficaci, ma a comparti più ampi, attraverso la messa in rete di più imprese e dipendenti. Un approccio, questo, che sta fortunatamente prendendo il volo in Ticino, con la speranza di veder presto qualche risultato nella viabilità – e nella vivibilità – del nostro Cantone: risultati che peraltro il Consiglio di Stato dovrà rendicontare, all’indirizzo del Gran Consiglio, dopo 4 anni di implementazione del Fondo.
Così, dopo tante altre realtà cantonali – Mendrisio, Basso Vedeggio, Valle della Tresa, Pian Scairolo, Lugano Centro e Nord, Chiasso e Pian Faloppia – anche Locarno si è attivata in questo senso, sia per quanto riguarda la Città, sia per l’entrata del Piano di Magadino, in questo caso con il coinvolgimento dei Comuni di Tenero, Gordola e Lavertezzo: due zone diverse che hanno specificità diverse e che, dunque, necessitano di risposte e soluzioni diverse. Proprio per questo nella sua ultima seduta il Consiglio Comunale della Città di Locarno, nell’ambito dell’analisi di un credito relativo al progetto Città dell’Energia, ha approvato – a dire il vero non senza discussioni – il progetto di centrale di mobilità per aziende e amministrazioni. Un progetto che mira giustamente a identificare e realizzare delle proposte specifiche per persone e territorio, proponendo alternative concrete e personalizzate, rendendo non solo la sensibilizzazione più efficace, ma anche aprendo le porte agli incentivi finanziari per l’ottimizzazione della mobilità messi a disposizione dal Cantone. E va qui sottolineato come, finanziabili, non sono solo le già note misure quali navette aziendali, carpooling, biciclette e flotta aziendale, ma anche la predisposizione di infrastrutture informatiche per il telelavoro, l’organizzazione del lavoro da casa e la realizzazione di mense e asili aziendali: strumenti e accorgimenti che, oltre a garantire la libertà di movimento, permettono al contempo di migliorare la conciliabilità tra vita professionale e famigliare. Questo fa e deve fare l’ente pubblico: stimolare e sostenere dinamiche virtuose, collegando tra di loro più politiche settoriali. Avanti così!
* Pubblicato su La Regione di oggi
“Cineturismo”: un’opportunità anche per il Ticino
C’è chi sostiene che i viaggi allenano i pensieri e permettono di verificare le proprie tesi negli occhi di uno sconosciuto. Ed è vero. Rientrando da New York e Washington, mi rendo conto di quanto questo viaggio abbia ulteriormente consolidato la mia convinzione che il cinema – l’audiovisivo in generale – è un formidabile strumento non solo di progresso civile e culturale, ma anche di progresso economico e marketing turistico. Pellegrinaggio da Tiffany; selfies sui luoghi noti perché visti in un film; foto da Katz’s Delicatessen per ricordare l’orgasmo più famoso del mondo (vedi Harry ti presento Sally); risate di turisti a ricordare o ricostruire una scena della propria serie TV preferita; gare a trovare l’ufficio o la casa di un protagonista e, infine, code per cenare da Bubba Gump Schrimp (vi ricordate Forrest Gump, i suoi cioccolatini, il suo “stupido è chi lo stupido fa”? Ne è nata una catena di fast food vera e propria, a tema, che attira cinefili, turisti e golosi). Potere del cineturismo, il film-induced tourism della letteratura scientifica.
Però è New York, mi direte. Ma così può essere, e deve essere, con le debite proporzioni, anche in Ticino. Ed è proprio a questo scopo che mira la Ticino Film Commission – la prima del suo genere in Svizzera, definita dalla Confederazione come progetto esemplare di politica economica regionale – istituzione che si occupa di attrarre in Ticino produzioni cinematografiche nazionali e internazionali con l’intento di portare lavoro, indotto economico e visibilità al nostro territorio. E i conti sembrano tornare: nel 2015 l’accompagnamento a 11 progetti ha infatti portato un indotto economico di quasi 600’000 CHF, oltre ad aver proposto tramite il piccolo e grande schermo il Ticino quale meta turistica a tanti potenziali visitatori. In attesa dei dati del 2016, ricordo solamente l’inizio di Mister Felicità, con Diego Abatantuono al LAC di Lugano – il film è uscito nelle sale il 1.01.17 e, al 22.01, era già stato visto da 1’660’521 spettatori – o le più di 2.5 milioni visualizzazioni di un lancio di un film indiano girato in Valle Verzasca. Agli indiani – e ai loro colorati e musicali Bollywood – piace innamorarsi IN Ticino: cerchiamo quindi di farli innamorare DEL Ticino. Facciamo innamorare loro (per i quali sta diventando sempre più di moda venire a sposarsi alle nostre latitudini) e altri spettatori-turisti del nostro splendido territorio, creando nuovi turismi, nuovi canali di promozione regionale e nuovi pernottamenti (diretti e indiretti), portando nuovo ossigeno al settore e all’economia cantonale in generale.
*Pubblicato sul Corriere del Ticino del 9 marzo 2017
Per saperne di più, su New York, la Ticino Film Commission e il cineturismo leggi il reportage “Cine-turisti per caso” apparso sul Caffé della domenica del 21 marzo 2017
Vicepresidenza PLR: 5 anni da mediani
di Nicola Pini e Michele Morisoli
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando abbiamo deciso di metterci in gioco, dando la nostra disponibilità a correre per la Presidenza del Partito, in una modalità nuova, non a caso suggerita dai Giovani liberali radicali a quel tempo presieduti da Giovanni Poloni. Dopo una campagna corretta, leale e frizzante – con molte idee e proposte messe sul tavolo, parte delle quali poi realizzate, indipendentemente da chi provenissero – ci siamo ritrovati a lavorare insieme per il bene del nostro Partito, a fianco di Rocco, nominati vicepresidenti cantonali dal Comitato cantonale il 30 novembre 2012, casualmente proprio il giorno del nostro compleanno. Ad unirci non solo il giorno di nascita, la passione per la politica, la lealtà al Partito, il rispetto per il Presidente eletto, ma soprattutto la responsabilità e la convinzione che l’unità la fa chi vince, ma ancora di più chi perde e – mettendo da parte orgoglio e ambizioni personali – decide di giocare di squadra, da mediano. Crediamo di esserci riusciti, senza tanto rumore e senza polemiche anche quando la pensavamo diversamente, dando il nostro contributo alla causa e al Presidente, ognuno con le proprie esperienze, sensibilità, idee. Non tutti i traguardi sono stati raggiunti, è vero, ma qualche passo avanti l’abbiamo fatto, non a caso in un ambito caro al Presidente, quello degli investimenti. Abbiamo investito nelle persone, nei giovani, nella comunicazione digitale, nell’elaborazione di proposte innovative (fibra ottica, edifici dismessi, telelavoro); abbiamo seminato e, speriamo, il Partito potrà in futuro raccogliere.
Un grazie a Rocco per l’energia, l’entusiasmo, la propositività e la concretezza con la quale ha interpretato la carica affidatagli dal Congresso del Partito. Da uomo di sport (anche se non necessariamente di squadra) non ha mai lesinato impegno, grinta e sudore, senza al contempo paura di esporsi al vento.
Un grazie anche a tutte le persone – Sindaci, Municipali, Consiglieri comunali, Presidenti sezionali, membri di Comitato, militanti e simpatizzanti – che ci hanno dato una mano in questi anni. Persone che ogni giorno animano il nostro Partito e gli permettono di essere presente, capillare, vivo: senza nulla togliere al nostro lavoro, o a quello di consiglieri di Stato, parlamentari cantonali e federali, sono proprio loro a rendere grande il nostro Partito. Con questi ringraziamenti, e con la convinzione che il PLR non è il Partito di nessuno, ma un bene collettivo che appartiene a tutti voi, e che dunque può contare sulla vostra forza, rimettiamo il nostro mandato, rientriamo nei ranghi e auguriamo di cuore BUON LAVORO al futuro Presidente.
* Pubblicato su Opinione liberale di oggi, in vista del Congresso di Domenica
Nascita e sviluppo della legislazione sul lavoro
Il periodo natalizio permette, fortunatamente, di consacrare qualche ora in più alle proprie passioni: mi sono così tuffato nella stimolante ricerca storica di Vanessa Bignasca, “La legislazione sul lavoro in Ticino tra eccezioni e resistenze (1877-1914)”, edita dalla Fondazione Pellegrini Canevascini.
Una regolamentazione, quella del mercato del lavoro, che partì dalla preoccupazione dello sfruttamento del lavoro infantile che, prima dell’approvazione a livello nazionale della Legge federale sulle fabbriche nel 1877, smosse singoli Cantoni, a cominciare da Zurigo nel 1815, in questa direzione. Il Ticino se ne occuperà con oltre mezzo secolo di ritardo, in particolare grazie a due Deputati liberali radicali del Mendrisiotto, Giuseppe Gobbi e Francesco Botta, che il 22 aprile 1873 depositarono una mozione – poi accolta all’unanimità dal Gran Consiglio – per regolamentare il lavoro dei fanciulli nelle fabbriche, con particolare attenzione per l’età e la durata del lavoro. L’applicazione – che ebbe solo un debole eco sui giornali e cadde miseramente già nel 1875 – stabilì un massimo di 12 ore lavorative al giorno per l’insieme dei lavoratori nelle fabbriche e affibbiò dei compiti di vigilanza sulla salubrità degli stabilimenti industriali alle autorità locali e distrettuali. Inoltre, il Cantone vietò il rilascio del passaporto per l’emigrazione lavorativa ai ragazzi di età inferiore a 14 anni, soglia diminuita a 12 anni per decisione del Gran Consiglio.
Ad ogni modo, l’interessante e approfondita ricerca storica di Vanessa Bignasca indaga non solo gli antefatti e l’inizio della regolamentazione del lavoro a livello nazionale – anche a seguito del consolidamento delle competenze federali scaturite dalla revisione della Costituzione del 1874 – ma anche la definizione del Regolamento cantonale d’applicazione dell’insieme della legislazione federale sul lavoro nel 1888, la nascita nel 1902 della Camera del lavoro e, infine, la revisione della legge federale, avvenuta nel 1914 ma applicata solo dopo la fine della Grande Guerra. Oltre a farci incontrare anche diversi attori liberali radicali attivi in questo senso – come ad esempio le società operaie liberali, il Deputato Brenno Bertoni, autore a inizio Novecento di un progetto di legge cantonale sul lavoro che non ha poi avuto buon esito per diverse ragioni, e il Consigliere di Stato Giovanni Rossi, che introdusse le ispezioni in fabbrica da parte di un funzionario cantonale (nell’occorrenza il suo segretario) – lo studio ci permette da un lato di seguire l’evoluzione delle normative sul lavoro, dei settori progressivamente coinvolti e delle relative modalità d’applicazione e, dall’altro, di approfondire la percezione di tali legge, come anche le resistenze attive e passive a tali disposizioni.
E qui, viene da commentare, la situazione sembra essere radicalmente cambiata. Se nel periodo indagato si può constatare una certa difficoltà e ritrosia a regolamentare e controllare rispetto ad altre realtà svizzere, oggi il Ticino si caratterizza per una regolamentazione e un sistema di controlli fra i più all’avanguardia a livello nazionale: basti ricordare che oggi, in Ticino, sono stati definiti la quasi totalità dei Contratti normali di lavoro decretati in Svizzera e che, sempre alle nostre latitudini, il 25% dei datori di lavoro viene controllato annualmente, a fronte di una media svizzera del 5%. Qualcosa si è mosso dunque!
Approvate dal Gran Consiglio le proposte per rivitalizzare gli edifici industriali dismessi!
In un momento in cui il territorio scarseggia e l’economia boccheggia, la politica deve focalizzare lo sguardo sugli oltre 1’100 edifici industriali dismessi disseminati su tutto il territorio cantonale, attivandosi concretamente per stimolare, sostenere e promuovere la loro rivitalizzazione, facendo convergere da un lato lo sviluppo economico e, dall’altro, lo sviluppo territoriale. Prima di pensare a nuove costruzioni sarebbe infatti meglio pensare a come riutilizzare l’esistente, dando vita a progetti innovativi di interesse pubblico. Così facendo avremo sia benefici economici – il rilancio degli edifici dismessi con nuove attività, insediamenti, progetti e posti di lavoro – sia territoriali – estetici, ma anche di protezione, razionalizzazione e valorizzazione del territorio e degli spazi pubblici – sia sociali, culturali o turistici, a dipendenza dell’uso che si farà di questi edifici. Oltre Gottardo vi sono già ottimi esempi: vecchi stabilimenti industriali che sono diventati non solo nuove aziende, ma anche appartamenti, teatri, ristoranti, perfino scuole. Anche il Ticino si sta lentamente muovendo in questa direzione, pensiamo ad esempio alla riconversione in loft, museo e luogo per eventi della fabbrica di cioccolato Cima Norma in Valle di Blenio, o alla Polus di Balerna, o ancora alla parziale riconversione da fabbrica di tabacchi a centro per eventi – nominato recentemente il più bello della Svizzera – del Centro Dannemann di Brissago.
Per proseguire su questa via, ho messo sul tavolo due proposte, oggi approvate dal Gran Consiglio (vedi rapporto commissionale di Michele Guerra). Con la mozione inoltrata a nome del Gruppo PLR abbiamo chiesto al Consiglio di Stato non solo di aggiornare lo studio dell’Accademia di architettura di Mendrisio relativo alla mappatura e alle potenzialità degli edifici industriali dismessi, ma anche di impegnarsi per riattivare queste potenzialità attraverso, ad esempio, la creazione di un profilo che agisca sul terreno (finanziato dalla politica economica regionale), l’inserimento degli edifici nel catalogo dei terreni a disposizione degli enti pubblici e la definizione di incentivi pianificatori.
Con l’iniziativa parlamentare – presentata in collaborazione con i colleghi De Rosa, Durisch e Guerra a nome della Commissione della Gestione e delle Finanze – ci siamo invece spinti ancora più in là, proponendo di stanziare un credito quadro di una decina di milioni da destinare a progetti di rivitalizzazione degli edifici industriali dismessi di particolare interesse pubblico, economico, sociale o culturale. Un primo esempio, concreto, lo potremo avere con l’area adiacente all’area multiservizi e al centro di controllo per veicoli pesanti lungo l’autostrada A2 a Giornico, con la riqualifica del sedime della storica Monteforno.
Accogliendo i due atti parlamentari e mettendo in atto una vera e propria strategia di recupero degli edifici industriali dismessi, la politica ha dato oggi prova di grande progettualità, legando economia e territorio, conservazione e innovazione, e, quel che più conta, passato e futuro!
Via libera al credito ponte per portare al voto popolare il Parco Nazionale del Locarnese
Oggi il Gran Consiglio ha approvato il mio rapporto – elaborato insieme al collega Franco Denti – per stanziare 1.5 milioni per i Parchi nazionali di Adula (400’000 CHF) e Locarnese (1’100’000 CHF). Il credito permetterà di concludere con una votazione popolare un lungo percorso di candidatura, come anche di finanziare tutta una serie di progetti sul territorio, dal territorio e per il territorio. Cerchiamo di conciliare protezione del paesaggio e sviluppo economico! Bene inteso, nessun Parco si farà senza la volontà dei cittadini dei Comuni coinvolti.
Je suis nagott dal tütt: elogio della complessità
“Io sto con le guardie di confine”; “Io sto con Bosia Mirra”; “Je suis Charlie”: slogan nati per gridare la nostra indignazione. Inizialmente erano potenti, ci univano, ci facevano riflettere e agire, spingendo – si sperava – verso un reale cambiamento, forse anche un ritorno a rinnovata e concreta militanza, alla riscossa di un impegno civico reale, in politica come nel sociale.
Ma questo slancio positivo è stato distorto. Se ne è abusato talmente tanto che oggi questi slogan – che si moltiplicano, per numero ma non per potenza – sembrano frasi stanche, vuote e facilotte. Schierarsi roboantemente diventa quasi facile come indossare un maglione: oggi mi va un bel rosso, domani invece provo il blu, senza troppo impegno. Ma la vita, e i principi, sono complessi, un fardello ben più impegnativo da portare di un indumento. Nella maggior parte dei casi la realtà non è bianca o nera, ma composta da sfumature di grigio e argento: sfumature che rendono impossibile calare un giudizio netto e tranciante nel giro di dieci secondi, nemmeno quando il tema sembra semplice e scontato. Non dobbiamo esprimerci su tutto, quello che invece abbiamo il dovere di fare è cercare di capire prima di sentenziare. E prenderci l’impegno di approfondire. Quanti sono realmente i rifugiati in Ticino? Quanti di questi ottengono risposta affermativa alla richiesta di asilo? Quale è il ruolo del Cantone, o di Caritas o Soccorso operaio? I richiedenti l’asilo possono fare lavori di pubblica utilità, e in che termini? Cosa possono fare i Comuni? Chi sono gli ammessi provvisori? Cosa dicono gli accordi di Dublino? E sui minori non accompagnati? Qual è il margine politico per le autorità a livello cantonale? Apro facebook e sembriamo tutti interessati ed esperti; vado a una serata informativa sul tema e siamo malapena in quindicina in sala. Peccato, perché il cambiamento richiede più della rabbia e dell’indignazione: per il cambiamento, quello vero, sono necessari preparazione, approfondimento, costanza, dialogo, lavoro.
È il momento di rivendicare il diritto a informarci prima di calare un hastag, a tuffarci nella complessità delle situazioni e delle persone prima di improvvisarci – spesso per un periodo troppo breve – hooligan scatenati. E prima, che è ancora peggio, di credere che la vita sia davvero così semplice e riducibile a un “pro” o a un “contro”. Indigniamoci pure, creiamo slogan, ma per cercare il cambiamento, non per pontificare. E ai molti “Je suis…” rispondiamo “Non, je lis, j’écoute, j’essaie de comprendre, je discute, je fais”.
* Pubblicato in Opinione Liberale di oggi
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