Non ci sto!
(editoriale di Opinione liberale, 28 giugno 2013)
Negli ultimi mesi ho visto giovani laureati che si sono visti preferire persone con meno carta ma più esperienza; docenti rifiutarsi di portare gli studenti in passeggiata scolastica per protestare contro i tagli salariali e associazioni di categoria bloccare l’assunzione di apprendisti per rivendicare alcune misure a loro favore. Dopo i “baby boomers” e la “meglio gioventù”, ecco la “generazione stage”, la generazione degli “iperformati ma non ancora abbastanza”, degli “allievi senza passeggiata”. Io non ci sto, non erano questi i patti.
Ogni giovane è cosciente – e se non lo è deve rendersene conto in fretta, se non vuole prendere qualche porta in faccia – che il momento economico non è dei migliori, che i posti di lavoro sicuri e assicurati non esistono più e che, soprattutto, non sarà facile rivivere il benessere della generazione precedente. Solo impegno, tenacia, competenza e flessibilità permetteranno di emergere. Forse. Perché occorre un’opportunità, qualcuno che investe su di te. E, al di là belle parole, forse complice la congiuntura economica, l’impressione è che spesso si faccia fatica a investire su di loro: prevale la logica del corto termine, se non si giunge addirittura alla mera strumentalizzazione politica, come avvenuto recentemente, dando uno schiaffo al futuro.
Per rilanciare l’occupazione giovanile – comunque ancora positiva, se paragonata al resto del mondo – non occorre cambiare legislazione, ma mentalità: ai giovani non serve un reddito di cittadinanza garantito, servono opportunità e fiducia. Se negli Stati Uniti due giovani si chiudono in un garage e hanno un’idea che funziona, il rischio è di trovare un finanziamento da parte di aziende del venture capital; in Ticino, invece, il rischio è piuttosto che piombi loro in casa la polizia per qualche ordinanza sul rumore o sull’igiene. Anche se, fortunatamente, qualcosa si sta muovendo, pensiamo alla Fondazione Agire. Il Ticino che mi piace è quello del sostegno alle start up, quello dei 21 milioni per le borse di studio, quello che mi ha permesso di sfiorare, non ancora trentenne, la Presidenza del Partito liberale radicale ticinese. Il Ticino che osa, non quello che, per conservare privilegi e posizioni, o per pigrizia, ha paura del nuovo.
Credo nell’intergenerazionalità: vi è infatti un potenziale sociale, economico e persino occupazionale nella collaborazione fra giovani e meno giovani, perché le qualità si completano, mentre le quantità si contendono. Ma non può esistere intergenerazionalità senza apertura del sistema. I giovani non pretendono certo il tappeto rosso, ma almeno una porticina: non ne va solo del futuro di chi oggi è giovane, ne va del futuro di tutti. Altrimenti, ad esempio, chi le finanzia le assicurazioni sociali?