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La svolta per una politica dei fatti

GIACOMO GARZOLI, NICOLA PINI

L’ultima seduta del Gran Consiglio, svoltasi a urne aperte, ha ben cristallizzato il clima politico attuale, fatto di proclami vuoti di contenuto, di strategie elettorali a breve e medio termine e di nessuna concretezza realizzativa. Il trionfo della «politica dei segnali». E dire che temi veri, all’ordine del giorno, non ne mancavano.
Si è approvata un’iniziativa popolare sui salari minimi, che tutti sanno essere inapplicabile, invece di assumersi la responsabilità politica di proporre un controprogetto davvero realizzabile. L’importante era evidentemente portare a casa il «risultato» ora, prima delle elezioni, poi succeda quel che succeda, troveranno qualcuno a cui dare la colpa se tutto ciò risulterà inapplicabile. E pazienza se alla fine porterà unicamente ulteriore disillusione, frustrazione e rabbia: altri cavalli neri da cavalcare. Come con l’iniziativa del 9 febbraio: chi ha vinto non sa come applicarla, ma critica gli altri di non farlo.
Non si è invece nemmeno discusso della revisione della Legge sull’AET per definire meglio il controllo dell’ente pubblico sull’ente parastatale. A chi importa di metterci le mani? Meglio aspettare il prossimo scandalo, per poter di nuovo gridare a squarciagola contro lo Stato e la politica, e soprattutto meglio non scontentare qualche centro di potere (o perdere voti magari già segnalati). Spiace, a noi, che anche la sinistra si sia prestata ad un simile gioco al massacro del buon senso. Siamo sicuri di voler proprio tutto ciò? Per quali calcoli elettorali?
Di giochi simili, non siamo ingenui, se ne sono però visti molti anche in passato. Di nuovo c’è l’arrendevolezza. Anche degli irrudicibili, degli impensabili. Quanto accaduto deve far aprire gli occhi. L’antipolitica è ovunque. Non è sufficiente smarcarsi. Noi siamo convinti sia necessario, anzi urgente, un nuovo progetto politico. Un progetto politico non solo di apertura (fisica e mentale), ma anche di coraggio, di trasparenza con i cittadini, di sincerità e di onestà intelletuale. Basta logiche elettoralistiche, partitiche o personali. Un progetto politico al di là degli steccati partitici, che raggruppi tutte quelle persone che non vogliono solo parole, ma fatti; che convogli tutti coloro che non si fermano alla bile e alle antipatie del passato, ma condensano il virtuosismo di chi vuole costruire, di chi vuole realizzare, senza sinistri calcoli politici di bassa lega.
La riforma della legge sull’AET sarebbe stata un’opportunità perfetta, non per lanciare un segnale, ma per cambiare le cose in meglio. I propositi per un salario minimo decente anche. Eppure nessuno dice che né per il primo caso né per il secondo qualcosa di concreto è stato deciso. Nulla, un nulla disarmante.
Corriere del Ticino, 28 marzo 2014
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