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Je suis nagott dal tütt: elogio della complessità

“Io sto con le guardie di confine”; “Io sto con Bosia Mirra”; “Je suis Charlie”: slogan nati per gridare la nostra indignazione. Inizialmente erano potenti, ci univano, ci facevano riflettere e agire, spingendo – si sperava – verso un reale cambiamento, forse anche un ritorno a rinnovata e concreta militanza, alla riscossa di un impegno civico reale, in politica come nel sociale.

Ma questo slancio positivo è stato distorto. Se ne è abusato talmente tanto che oggi questi slogan – che si moltiplicano, per numero ma non per potenza – sembrano frasi stanche, vuote e facilotte. Schierarsi roboantemente diventa quasi facile come indossare un maglione: oggi mi va un bel rosso, domani invece provo il blu, senza troppo impegno. Ma la vita, e i principi, sono complessi, un fardello ben più impegnativo da portare di un indumento. Nella maggior parte dei casi la realtà non è bianca o nera, ma composta da sfumature di grigio e argento: sfumature che rendono impossibile calare un giudizio netto e tranciante nel giro di dieci secondi, nemmeno quando il tema sembra semplice e scontato. Non dobbiamo esprimerci su tutto, quello che invece abbiamo il dovere di fare è cercare di capire prima di sentenziare. E prenderci l’impegno di approfondire. Quanti sono realmente i rifugiati in Ticino? Quanti di questi ottengono risposta affermativa alla richiesta di asilo? Quale è il ruolo del Cantone, o di Caritas o Soccorso operaio? I richiedenti l’asilo possono fare lavori di pubblica utilità, e in che termini? Cosa possono fare i Comuni? Chi sono gli ammessi provvisori? Cosa dicono gli accordi di Dublino? E sui minori non accompagnati? Qual è il margine politico per le autorità a livello cantonale? Apro facebook e sembriamo tutti interessati ed esperti; vado a una serata informativa sul tema e siamo malapena in quindicina in sala. Peccato, perché il cambiamento richiede più della rabbia e dell’indignazione: per il cambiamento, quello vero, sono necessari preparazione, approfondimento, costanza, dialogo, lavoro.

È il momento di rivendicare il diritto a informarci prima di calare un hastag, a tuffarci nella complessità delle situazioni e delle persone prima di improvvisarci – spesso per un periodo troppo breve – hooligan scatenati. E prima, che è ancora peggio, di credere che la vita sia davvero così semplice e riducibile a un “pro” o a un “contro”. Indigniamoci pure, creiamo slogan, ma per cercare il cambiamento, non per pontificare. E ai molti “Je suis…” rispondiamo “Non, je lis, j’écoute, j’essaie de comprendre, je discute, je fais”.

* Pubblicato in Opinione Liberale di oggi

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