Ringraziamento

Grazie Dick Marty

Oggi, insieme a oltre un centinaio di persone, ho firmato un appello pubblicato sui tre quotidiani ticinesi (Visualizza l’inserzione) per ringraziare Dick Marty della sua lunga attività in seno alle pubbliche istituzioni del nostro Paese, che ha servito operando in ognuno dei tre poteri, da quello giudiziario (Procuratore pubblico dal 1975 al 1989) a quello legislativo (senatore al Parlamento federale dal 1995 al 2011) passando da quello esecutivo (consigliere di Stato dal 1989 al 1995). Una persona che ammiro moltissimo e che ringrazio di cuore per i preziosi insegnamenti.

Share

Riflessione

Il rumoroso silenzio degli intellettuali

Nicola Pini

(Pubblicato in La Regione Ticino, 24.12.2011)

Fra i fondatori, nel gennaio del 1974, della sezione ticinese di Amnesty International compaiono non solo consiglieri di Stato, giudici, procuratori e avvocati, ma anche molti artisti e intellettuali, tra i quali diversi accademici, il Direttore generale dell’allora RTSI, il Direttore della biblioteca cantonale, un attore e uno scrittore: presenze, quest’ultime, che meritano di essere sottolineate. Non solo per il loro ruolo di simboli e rappresentanti della « coscienza umana », come affermato dallo scrittore e attivista egiziano Musaad Abu Fagr, rinchiuso tre anni in carcere senza l’ombra di un processo per aver cercato di difendere i diritti dei beduini del Sinai e per essersi opposto al regime di Mubarak. Non solo perché – ha ammesso Dick Marty, relatore accanto al blogger egiziano in una tavola rotonda organizzata per festeggiare i cinquant’anni di Amnesty International – « le istituzioni non garantiscono, da sole, né giustizia né libertà ». Ma soprattutto perché loro, gli intellettuali, hanno un potere che, se esercitato, può essere devastante: i valori repubblicani che ancora oggi ci ispirano grazie alla rivoluzione francese sono frutto della presa della Bastiglia o dell’energia dell’Illuminismo francese dei Voltaire, dei Diderot e dei D’Alambert? I soldati americani abbandonarono il Vietnam – con la coda fra le gambe – per la guerriglia dei Vietcong o per la rivolta giovanile, gli obiettori di coscienza o i movimenti di disobbedienza civile che si svilupparono negli Stati Uniti grazie alla caparbia di grandi leader? Io non ho dubbi, la forza delle idee non va sottovalutata, anzi, « la penna è più potente che la spada ».

Proprio per questo credo nell’assoluta necessità, oggi più che mai, di una maggior presenza pubblica da parte degli intellettuali. I quali devono – dovrebbero? – non solamente come da tradizione rappresentare criticamente la realtà e alimentare il dibattito pubblico, ma soprattutto risvegliare le persone che compongono la nostra società, loro malgrado sempre più assopite – vuoi dall’overdose informativa, da una vita professionale sicuramente (troppo) impegnativa, da un benessere minimo diffuso, dal disinteresse, dalla ricerca del quieto vivere, dall’assillo di difendere i propri privilegi.

In breve, indurre ad indignarsi. Perché non ci si può che indignare di fronte al non rispetto dei più basilari diritti umani, calpestati non solamente a migliaia di chilometri di distanza, ma anche alle nostre latitudini: Norberto Bobbio ci insegna infatti che essi evolvono – per definizione – di pari passo con la società che li circonda. Occorre quindi considerare non solo i diritti umani tradizionali, ancora impercettibili in molte zone del mondo, ma anche altri diritti dell’uomo che, anche alle nostre latitudini, non sono per nulla scontati, quali il diritto all’alloggio, il diritto all’accesso alle cure di base, il diritto ad una formazione adeguata, il diritto al lavoro, il diritto alla dignità: basti pensare, a puro titolo di esempio, che in Svizzera vi sono oltre 120’000 working poor, vale a dire persone che, pur lavorando, non guadagnano a sufficienza per mantenersi e, pagati affitto e assicurazioni, si ritrovano ben al di sotto della soglia di povertà, per una persona sola meno di 2’400 al mese.

Quell’indignazione che conduce all’assunzione di responsabilità, alla mobilitazione, alla partecipazione e all’azione dei cittadini, la forza tranquilla dietro le grandi difese e le grandi conquiste. Quell’indignazione che oggi purtroppo manca e che forse solo gli intellettuali possono risvegliare, a tutto vantaggio di un dibattito pubblico e politico purtroppo sempre più ristretto, nel numero e nel livello. Ben vengano quindi, anche sui nostri quotidiani, le troppo rare riflessioni dei vari intellettuali nostrani…e che aumentino!

Share

GRAZIE MILLE!

Quella che termina oggi con l’elezione degli amici Fulvio Pelli e Ignazio Cassis è stata la mia prima campagna elettorale: a 26 anni, ho portato a casa un risultato grandioso, raccogliendo quasi 20’000 voti personali. Mi sono inoltre confrontato con temi entusiasmanti come l’energia, la formazione e l’economia: sono priorità per il Nostro Paese che dovranno rimanere tali anche dopo la campagna elettorale che li ha messi al centro del dibattito politico.

Un grazie di cuore a tutti Voi che mi avete sostenuto – supportato o semplicemente sopportato – con tanto coraggio, perchè ci vuole coraggio a dare il voto ad un giovane. Negli ultimi mesi ho potuto contare su molti amici che mi hanno aiutato in campagna con ruoli diversi, grazie di cuore a tutti.

Farò tesoro della vostra fiducia e dell’esperienza maturata e accumulata in questi mesi per continuare a impegnarmi con umiltà per la cosa pubblica. Torno al lavoro al Dipartimento delle Finanze e dell’Economia con una convinzione: quando si vuole davvero raggiungere un obiettivo … si può fare!

Share

Il Caffé

Ecco il mio contributo sul domenicale Il Caffè di domenica 16 ottobre

“La conoscenza rende liberi e competitivi, mentre il lavoro e un’equa retribuzione garantiscono la dignità umana: per questo dobbiamo puntare sulla formazione e la ricerca. La Svizzera non dispone di materie prime, ma di molta materia grigia, che va sostenuta e valorizzata. Un’adeguata formazione – che trovi il giusto equilibrio tra la cultura generale e le competenze richieste dal mondo del lavoro – è la base per garantire un posto di lavoro ai giovani ticinesi: investiamo con intelligenza nell’intelligenza, garantendo a tutti una formazione di qualità e valorizzando tutte le categorie professionali.”

Share

Sanità

Prevenire è meglio che curare!

Il sistema sanitario in Svizzera è il secondo più caro di tutta Europa e, ogni anno, la spesa aumenta di circa due miliardi di franchi, riversandosi naturalmente sui premi di cassa malati: evidemente tale esplosione dei costi della salute va frenata, senza però scalfire l’elevato standard raggiunto dal nostro sistema sanitario. Qualità delle cure e accesso a cure di qualità – poiché la salute è un autentico diritto di ognuno, ricco o povero che sia – richiederanno maggiore razionalità nell’offerta, evitando doppioni e stimolando la cooperazione.

Una maggiore razionalizzazione che si può ottenere certo attraverso il nuovo finanziamento ospedaliero e la riforma delle cure integrate – forse attraverso l’adozione di una cassa malati pubblica – ma anche attraverso un potenziamento e affinamento della prevenzione. La prevenzione è infatti un tassello fondamentale del sistema sanitario, il quale non deve occuparsi solamente di curare le malattie, ma anche di prevenirle, comportando così non solo un miglioramento generale della qualità di vita, ma anche un risparmio dal punto di vista economico. Da qui l’importanza di una legge federale che coordini e strutturi le varie attività di prevenzione sul territorio nazionale, anche se la competenza è principalmente dei Cantoni: una cosiddetta legge d’organizzazione che – pur senza definire programmi di prevenzione specifici – assicuri una certa coerenza delle attività sul piano nazionale, migliorandone sia l’efficienza – evitando doppioni o azioni ininfluenti – sia il grado d’impatto sulla salute pubblica. Una legge che fornisca infine a queste attività non solo finanziamenti stabili e sicuri, ma soprattutto indirizzi e linee guida, possibilmente concordate tra Confederazione, Cantoni e organizzazioni private: la prevenzione, infatti, non s’improvvisa, ma si coltiva sul sapere esistente. Per dei cittadini sani e per delle finanze sane “prevenire è meglio che curare”, lo dicevano già i nostri nonni.

Share

Fiscalità

ACCORDO FISCALE CON L’ITALIA SUL MODELLO TEDESCO?

di Nicola Pini, candidato PLR al Consiglio Nazionale

Il 21 settembre 2011 è stato firmato un accordo in materia fiscale tra Svizzera e Germania che apre la possibilità di un nuovo balzo in avanti dopo la svolta del marzo 2009, in cui la Svizzera si era impegnata ad adeguarsi agli standard internazionali dell’OCSE introducendo nell’ambito delle convenzioni bilaterali di doppia imposizione clausole di assistenza amministrativa che aprivano la porta a richieste mirate di informazioni bancarie da parte di Amministrazioni fiscali estere. Questo accordo incorpora una proposta che ha origine in Ticino: il modello Rubik – ideato da Alfredo Gysi e da BSI – che introduce un’imposizione alla fonte secondo le aliquote tedesche per i redditi di conti bancari in Svizzera detenuti da contribuenti tedeschi. L’originalità della proposta è di preservare da un lato la sfera privata del cliente, e di garantire dall’altro le entrate fiscali dell’altro Stato: una win-win-win situazione (per il cliente, la banca, e lo Stato estero) che consente di tenere lontano lo spettro dello scambio automatico delle informazioni. Fin qui, nell’ottica di una auspicata da più parti rapida ripresa dell’Accordo tedesco con l’Italia, tutto bene. Vi sono invece due elementi dell’accordo con la Germania che richiedono una particolare cautela e non possono essere asportati tali e quali in un eventuale accordo con l’Italia, elementi che concorrono a determinante un crescente scollamento tra l’entusiasmo delle prese di posizione ufficiali, e le preoccupazioni di clienti e addetti ai lavori.

1. L’accordo con la Germania prevede una sanatoria per la regolarizzazione dei patrimoni tedeschi non dichiarati in passato, con un’aliquota fino al 34% delle sostanze depositate. Come è noto, in Italia hanno avuto luogo diversi scudi fiscali con aliquote di regolarizzazione assai più allettanti nell’ordine di circa il 5%. In Germania vi è invece una cultura politica assai più rigorosa in materia di amnistie fiscali. A meno di voler incentivare la fuga in massa dei clienti italiani verso altre piazze finanziarie, è inconcepibile immaginare una sanatoria con un’aliquota analoga a quella con l’accordo con la Germania, la stessa va invece fissata nell’ordine di grandezza degli scudi passati, e non è in ogni caso negoziabile un’asticella superiore al 10%.

2. L’accordo con la Germania introduce una forma di assistenza amministrativa allargata, secondo cui, per un certo contingente massimo di casi, la Germania può avanzare richieste di collaborazione alla Svizzera rispetto a determinati contribuenti anche senza dover precisare i motivi che la inducono a ritenere che gli stessi abbiano degli averi in Svizzera. E l’autorità svizzera è poi chiamata a farsi parte attiva per verificare se gli stessi dispongano di relazioni bancarie nel nostro Paese. Si tratta di una modalità di collaborazione che va ben oltre i parametri internazionali dell’OCSE, che esigono che l’autorità richiedente abbia a precisare nella sua domanda i motivi che la portano a ritenere che le informazioni richieste si trovano in Svizzera presso intermediari finanziari concretamente individuabili, se non mediante l’indicazione del nome dell’istituto bancario detentore delle informazioni almeno sulla base di altri elementi. Questo cedimento rispetto alla prassi internazionale dell’OCSE va senz’altro corretto in un eventuale accordo con l’Italia.

3. Infine, nelle contropartite che la Svizzera a giusta ragione rivendica (quindi, sostanzialmente, la cessazione di ogni forma di discriminazione fiscale – in particolare l’esclusione del nostro Paese da “black lists” e l’inclusione in “white lists” – e di criminalizzazione degli intermediari finanziari svizzeri, nonché il pieno accesso di questi ultimi in maniera transfrontaliera ai mercati esteri), va precisato, rispetto a quanto previsto nell’accordo con la Germania, che tale apertura non deve andare a beneficio solo delle banche, ma di tutti gli intermediari finanziari, ivi inclusi quindi i gestori indipendenti e i fiduciari che tanto pesano nel tessuto economico ticinese.

La politica ticinese chiede a gran voce di essere coinvolta nelle negoziazioni con l’Italia: il nostro apporto ticinese non può però limitarsi a uno slancio generico verso un abbraccio precipitoso tra i due Stati, ma deve sapere formare una posizione negoziale precisa (anche nei dettagli e nei cavilli, in cui, come si sa, si nasconde il diavolo) e ferma. La fermezza, e la lucidità, sono necessarie non solo verso l’estero, ma anche internamente verso associazioni nazionali di categoria (leggi ad esempio Associazione svizzera dei banchieri): una cosa è infatti promuovere legittimamente l’interesse dei propri membri, tra i quali spiccano grandi istituti globali (delle autentiche multinazionali in ambito finanziario, il cui raggio di azione è necessariamente assai più vasto di quello svizzero, ecco quindi ad esempio che, parallelamente alla riduzione delle attività in Svizzera, possono aprirsi nuovi scenari di sviluppo per le stesse imprese in Germania, in Italia, o a Singapore), un’altra è mettere in atto una politica di sviluppo territoriale, volta alla creazione di occupazione e valore aggiunto sul territorio. La fermezza e la lucidità sono in parte venute meno negli ultimi tempi, devono essere pienamente recuperate oggi, per tutelare una piazza finanziaria che, con i suoi occupati, il suo indotto, e le sue ricadute fiscali, contribuisce in maniera determinante al tessuto economico-sociale ticinese.

Share

Intervista

Leggi l’intervista de La Regione Ticino

1)  Il Ticino è dimenticato da Berna? Sì, no e perché? Non per forza: dobbiamo mostrare maggiore competenza, compattezza e credibilità.

2)  La Svizzera deve continuare sulla via dei bilaterali? Si, sono necessari e vanno sostenuti tramite un rafforzamento delle misure d’accompagnamento a tutela dei lavoratori.

3) Condivide il blocco dei ristorni dei lavoratori frontalieri deciso dal Consiglio di Stato? No, non era necessario: infatti non è servito a nulla.

4) È favorevole al raddoppio della galleria stradale del Gottardo? Si, per migliorare la sicurezza ed evitare l’isolamento occorrono due tubi monodirezionali (senza aumento di capacità).

5) La Svizzera può fare a meno dell’energia nucleare? Si, dobbiamo puntare sulle energie rinnovabili (in particolare l’acqua) e sul risparmio energetico.

6) Il costo dell’assicurazione malattia preoccupa gli svizzeri. Una cassa malati unica e pubblica è la soluzione? Può concorrere a una razionalizzazione del sistema sanitario.

7) I partiti devono far conoscere bilanci e provenienza delle entrate? Si: maggior trasparenza equivale a maggior credibilità.

8 ) Fa discutere da tempo il peso delle lobby nella politica federale. Lei ha una o più lobby di riferimento? Ma le pare che possa avere una lobby? No, non rappresento alcuna lobby

9) Chi paga e quanto costa la sua campagna? Pago di tasca mia: spenderò circa 10’000 Franchi.

10)Se eletto/eletta quale sarebbe la prima proposta concreta che farebbe? Una sessione parlamentare in Ticino, come alcuni anni fa: fu un’ottima esperienza. I politici devono conoscere meglio il Ticino.

Share