Foto paternità gas

Più conciliabilità lavoro e famiglia nell’ente pubblico

Cosa auguri ai neo-genitori? “Auguro la fortuna di avere le risorse e le condizioni personali e professionali per poter godere appieno di questi momenti speciali e irripetibili“: firmato oggi all’unanimità dalla Commissione gestione e finanze del Gran Consiglio un mio rapporto su un’iniziativa parlamentare di Raffaella Martinelli Peter (ripresa da Milena Garobbio) con una serie di proposte concrete affinché lavoro e famiglia siano più conciliabili nell’ente pubblico. Perché l’impegno per una migliore conciliabilità tra lavoro e famiglia non è più una lotta di un genere, le donne, ma di tutta una generazione, la nostra.

Maggiori informazioni:

* Credito fotografico al portale GAS

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dibattito ATAN

Nuovi genitori, nuove politiche

Oggi si parla di asili nido quasi solo per denunciare abusi salariali e quasi mai in termini di necessità, efficienza, accessibilità; stesso discorso per la conciliabilità lavoro-famiglia, dove al centro è posizionato quasi unicamente il ruolo della donna e non anche il ruolo dell’uomo e il beneficio per il bambino. Il tema va però ampliato e affrontato in termini di società: famiglia, ruolo dell’uomo e della donna; lavoro e carriera; educazione e prima infanzia. Compito della politica è infatti adeguare costantemente le politiche pubbliche all’evoluzione della società.

Di fatto, oggi la situazione è cambiata rispetto a qualche decennio fa: i neo-genitori hanno tendenzialmente meno tempo da dedicare ai figli nei primi anni di vita, in quanto spesso entrambi impegnati professionalmente per scelta (passione o ambizione) o per necessità (finanziaria); al contempo, vi è un numero crescente di neo-padri disposti ad assumersi nuove responsabilità nella cura dei figli. Un’evoluzione, questa, che impone un ripensamento delle politiche sociali e del lavoro: occorre ad esempio

  • favorire i tempi parziali – anche per le funzioni dirigenziali – e il lavoro flessibile;
  • introdurre dove possibile il telelavoro (lavoro da casa) per uno o due giorni la settimana, ciò che peraltro permetterebbe anche di ridurre il traffico e schiudere nuove opportunità per le regioni periferiche;
  • regolamentare un congedo paternità di almeno 10 giorni sull’arco del primo anno di vita del bambino, per ridurre il rischio di depressione post-parto, che tocca una donna su dieci, come anche per facilitare il rientro nel mondo del lavoro delle neo-mamme;
  • e, infine, assicurare un numero adeguato di strutture ricettive, come famiglie diurne e asili nido, a cui affidare non solo la cura, ma anche (parzialmente) l’educazione dei bambini nei primi anni di vita.

Strutture che siano quindi di qualità – e non semplicemente dei posteggi… – e accessibili finanziariamente, da capire se attraverso un rafforzamento finanziario delle famiglie più fragili, attraverso un sistema di rette variabili o un aumento del sovvenzionamento alle strutture stesse. In questo senso, l’ente pubblico deve assumersi anche un ruolo di stimolo e coordinamento, ad esempio favorendo un ragionamento di messa in rete tra aziende. Il Cantone non può certo limitarsi ad auspicare l’azione da parte delle aziende, spesso confrontate a importanti costi (seppur investimenti), mancanza di competenze specifiche e soprattutto di massa critica: per questo le imprese vanno incentivate e accompagnate nella realizzazione dei nidi interaziendali. Lo stesso discorso potrebbe inoltre essere portato anche sul piano dei Comuni, in termini di consorzi, proprio come fatto qualche decennio fa con le case per anziani, con le quali si potrebbero peraltro attivare sinergie all’insegna dell’intergenerazionalità.

È davvero il momento di agire, non solo perché a chiederlo è di fatto una nuova generazione alle prese con computer e fasciatoi, ma anche perché in ballo, nell’agenda politica cantonale, vi sono le riflessioni attorno a una riforma della fiscalità delle imprese con le relative misure sociali accompagnatorie annunciate dal Consiglio di Stato, come anche l’elaborazione di un controprogetto all’iniziativa popolare “Asili nido di qualità per le famiglie” da parte della Commissione scolastica del Gran Consiglio. Occasioni da non perdere per una politica che pretende – legittimamente – di guardare al futuro.

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borse per sito

No alla revisione delle borse di studio

Fra le ragioni della mia firma con riserva posta in calce al rapporto della Commissione della gestione sulla manovra finanziaria vi è sicuramente la proposta legata alle borse di studio. A prima vista può intrigare: tramutare una parte delle borse di studio per il grado terziario in prestiti, responsabilizzando maggiormente gli studenti sull’aiuto allo studio. Tuttavia una lettura più ampia della realtà in cui si muovono studenti e neolaureati pone ben più di un interrogativo sulla necessità di questa funzione pedagogica: l’assegno viene infatti già oggi accordato solamente per la durata regolare della formazione e 3 studenti su 4 svolgono già un’attività lavorativa durante gli studi per autofinanziarsi.

Inoltre, è oggi sempre più difficile trovare immediatamente un impiego anche per chi esce dall’università e, prima di trovare un’occupazione piena, stabile e ben remunerata, si è spesso obbligati a passare da vari stage per maturare quell’esperienza sempre più richiesta anche per un primo impiego. Per non parlare di un’altra realtà del nostro tempo, i posti di lavoro a tempo parziale, che oggi toccano quasi un terzo dei trentenni. Anche perché, ricordiamolo, non è che le borse di studio sostengano proprio tutti, anzi: sono accordate in modo oculato e mirato, destinate a studenti di famiglie della fascia medio-bassa, anche grazie al recente passaggio dal criterio del reddito imponibile a quello del reddito disponibile, scelto proprio per limitare gli aiuti unicamente a coloro che ne hanno davvero bisogno e prevenire eventuali abusi. Ragioni in più, queste, per non banalizzare un debito di 25’000-30’000 CHF – peraltro giudicato medio-alto dalle politiche pubbliche che si occupano di prevenzione dell’indebitamento – sulle spalle di giovani ai quali la società chiede non solo di camminare sulle proprie gambe, ma di costruirsi un futuro professionale e un progetto di vita, investendo nell’economia reale, partecipando alla vita sociale e politica, creandosi una famiglia (ricordo che un recente studio ha confermato che il fattore finanziario incide sulla scelta di fare figli). Tutti obiettivi importanti, necessari, ma non scontati; ancora meno scontati se il giovane parte con un debito sulle proprie spalle, con le inchieste che ci dicono che oltre la metà di chi ha un debito in giovane età lo porta con sé per molti anni, se non per sempre.

Mi chiedo poi se tale misura porti per davvero a un risparmio. Anche in questo caso nutro dei dubbi: per gestire il recupero dei prestiti, infatti, occorrerà più burocrazia e forse un potenziamento dell’apparato amministrativo addetto alle borse di studio (di certo sarà necessario offrire agli studenti una consulenza su come programmare il rientro finanziario, per evitare il perpetuarsi oil peggiorare della situazione). Un recupero che, l’esperienza insegna, non è nemmeno scontato: non è sempre così facile, né gratuito, riscuotere i prestiti, anche senza interessi o con tassi d’interesse minimi. Senza dimenticare che la formula dei prestiti amplia probabilmente la portata delle deduzioni fiscali per i figli agli studi, non eliminando quindi le spese dello Stato, ma semplicemente spostandole.

Un ultimo elemento, che in realtà è il primo e il più importante: intervenire nell’ambito della formazione dei giovani per riportare l’equilibrio finanziario all’interno dello Stato non può che essere l’ultima ratio, l’ultimissimo ambito di intervento, e soprattutto sempre ben ponderato. Il futuro del Cantone dipende soprattutto dalle scelte che fanno e faranno i giovani ticinesi in ogni ambito, dagli studi alla politica. A loro va lasciato campo per formarsi, per sognare, per creare, per organizzarsi e per migliorare la società. Altrimenti smettiamola di dire che i giovani sono il futuro.

*Pubblicato su La Regione Ticino di oggi

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Vitta Pini Ferrara Farinelli

SI del Consiglio di Stato al telelavoro

Lo scorso mese di marzo, con Natalia Ferrara e altri colleghi (Ay – Bang – Beretta Piccoli – Bosia Mirra – Cavadini – Fonio – Garobbio – Gendotti – Ghisolfi – Gianella – Kandemir Bordoli – Käppeli – Kappenberger – La Mantia – Lurati Grassi – Maggi – Merlo – Quadranti – Rückert) abbiamo chiesto al Consiglio di Stato di attivarsi affinché la pubblica amministrazione autorizzi – naturalmente nelle posizioni dove è possibile – uno o due giorni di telelavoro settimanali, con l’obiettivo di migliorare la conciliabilità tra vita professionale e vita famigliare, diminuire traffico e inquinamento, creare opportunità di sviluppo per le zone periferiche, diminuire costi per Stato e aziende e migliorare la qualità di vita dei dipendenti. (vedi mozione) Nello specifico abbiamo chiesto al Governo di procedere prima alla realizzazione di alcuni progetti pilota, e successivamente a un’analisi specifica delle funzioni, all’attuazione di una specifica base legale e a una pianificazione in questo senso, come anche alla formazione e sensibilizzazione dei quadri dirigenti.

Oggi il Consiglio di Stato, prendendo posizione in merito, ha accolto nel principio la nostra proposta, riservandosi di sviluppare nel merito le modalità operative più appropriate. Un apposito gruppo di lavoro interdipartimentale è stato creato con l’intento di attuare una valutazione approfondita sulla fattibilità dell’implementazione, in particolare attraverso l’identificazione dei servizi più idonei e successivamente una fase di test. Sulla base dell’esperienza effettuata – afferma il Consiglio di Stato nel suo rapporto – sarà possibile valutare l’effettiva realizzabilità del concetto e l’estensione ad altri settori, le modalità operative, l’adeguamento delle basi legali e gli strumenti necessari all’eventuale implementazione del telelavoro. Inoltre, il telelavoro è stato inserito anche nelle misure sostenute dal fondo per la mobilità aziendale: le aziende che lo applicheranno per ridurre gli spostamento potranno dunque beneficiare di un incentivo finanziario.

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Pari opportunità

Mimose con troppe spine

(editoriale pubblicato su Opinione liberale, 8 marzo 2013)

È sicuramente una festa della donna a tinte chiaro scure, più che rosee, quella che festeggiamo oggi, 8 marzo 2013. Se da una parte si tende sempre di più verso l’egalité des chances e le buone notizie, anche fresche, non mancano – pensiamo alla recentissima nomina di una donna alla testa del prestigioso Le Monde – dall’altra la parità resta sempre più formale che reale nel mondo del lavoro: certo sempre più donne lavorano, ma raramente lo fanno con funzioni dirigenziali e, in media, lo fanno con uno stipendio inferiore di oltre il 18% rispetto ai loro colleghi uomini. Qualche spina, sulla proverbiale mimosa odierna, l’ha sicuramente favorita anche l’esito della votazione di domenica scorsa, con la maggioranza dei Cantoni – tutti della Svizzera tedesca – che ha respinto l’articolo costituzionale sulla politica familiare. Certo, il fatto che complessivamente a votare SI all’oggetto posto in consultazione popolare siano stati il 54.3% degli Svizzeri e addirittura il 66.7% dei Ticinesi è senz’altro positivo, ma resta pur sempre una magra consolazione. Ad ogni modo, queste cifre mostrano come il tema delle pari opportunità non sia solo sensibile, ma soprattutto condiviso dalla maggioranza dei cittadini: il Partito liberale radicale ticinese – il cui Comitato cantonale si era schierato praticamente all’unanimità a favore della proposta – non può che cogliere questo segnale e impegnarsi con decisione anche su questo fronte. Anche perché – come ho avuto modo di replicare dalle colonne della Regione allo storico Sandro Guzzi Heeb, il quale sosteneva una presunta contraddizione del liberalismo nell’ambito della politica familiare – un liberale deve battersi per una società in cui chiunque – naturalmente anche una donna – possa avere l’opportunità di sfruttare le prorpie capacità e realizzare le proprie aspirazioni e i propri sogni. Al contrario, invece, obbligare una donna a scegliere tra lavoro e famiglia è totalmente illiberale: certo deve poter scegliere, se lo vuole, tra una o l’altra via, ma anche il combinarsi delle due opzioni deve essere possibile, se non addirittura incoraggiato. E se per garantire tale opportunità è necessario un maggiore intervento dello Stato, anche un liberale può accettarlo, perché se da una parte il liberale non crede nello Stato « tutto fare » e nello Stato invadente, dall’altra egli crede in uno Stato snello ma efficace che sia garante delle pari opportunità di partenza e delle condizioni di contesto per lo sviluppo dell’iniziativa privata e la realizzazione dell’individuo. Lo sviluppo sociale è garantito dalle forze individuali, ma queste devono essere nella condizione di manifestarsi: per questo l’intervento dello Stato per permettere alle donne di lavorare e al contempo essere mamma non deve disturbare una coscienza liberale. Anzi. Anche perché questo non porta a una deresponsabilizzazione – altra conseguenza sgradita a un liberale – ma piuttosto a una responsabilizzazione dei genitori che, potendosi appoggiare a delle strutture o a delle misure a loro favore, si assumo a pieno titolo i loro ruoli familiari e professionali. Insieme. Il PLR deve dunque battersi non solo per aumentare e rendere più accessibili gli asili nido (anche aziendali), per sviluppare le mense scolastiche e i doposcuola o per rafforzare la formazione professionale di chi si occupa della cura dei bambini, ma anche per incentivare una maggiore flessibilità occupazionale tramite uno sviluppo del telelavoro e la creazione di più posti di lavoro a tempo parziale. Soluzioni, queste, che porterebbero anche notevoli benefici economici: ogni franco investito in un asilo nido porta infatti tra i tre e i quattro franchi di indotto economico fra aumento del potere acquisto, entrate fiscali e pagamento delle prestazioni sociali. Un buon investimento economico, dunque, oltre che sociale.

Scambio sulla politica familiare con lo storico Sandro Guzzi Heeb (La Regione)

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