Foto 60 minuti assistenza

Togliere persone dall’assistenza!

Sempre più spesso si parla del tema dell’assistenza: ne abbiamo ad esempio parlato ieri sera a 60 minuti: guarda la puntata. Un fenomeno sul quale vale la pena soffermarci brevemente: dalla storia alle cifre per arrivare alle soluzioni.

Storia

Nel diciannovesimo secolo, e all’inizio del ventesimo, una forma di “assistenza” era gestita prevalentemente da associazioni caritatevoli sia di stampo religioso (ad esempio “Caritas”) che di ispirazione laica (come “Pro Joventute”) finanziate da donazioni private. La partecipazione finanziaria della Confederazione si limitava invece a un 10% del ricavato delle vendite di alcool e alla creazione di orfanotrofi. La prima legge federale data solo del 1977 e attribuisce ai Cantoni il compito di garantire il diritto del cittadino in stato di bisogno ad essere assistito (un diritto inizialmente previsto per i soli svizzeri, poi dal 1995 esteso dal Tribunale Federale a tutte le persone che si trovano su suolo svizzero). Attualmente le prestazioni assistenziali sono coordinate dalla Conferenza Svizzera delle istituzioni per l’azione sociale (CSIAS) che emana direttive non vincolanti per Cantoni e Comuni.

Diamo i numeri

Sono circa 8’000 le persone in assistenza, che equivalgono a circa il 2% della popolazione residente in Ticino, vale a dire una percentuale inferiore alla media nazionale. Di questi, i titolari – a differenza della disoccupazione il numero delle persone in assistenza comprende tutte le persone appartenenti al nucleo familiare siano esse coniugi, conviventi o figli – sono poco più di 5’000. Il 20% (un migliaio di persone) di questi sono occupati, vale a dire che hanno un’occupazione (a tempo parziale o su chiamata) ma che hanno bisogno dell’assistenza per arrivare alla fine del mese. Circa un terzo (quasi due migliaia) non sono invece “occupabili” per malattia (non riconosciuta dall’AI), cura dei famigliari o età avanzata. Resta poi il corpo centrale del 50% (2’500 persone circa) sul quale si concentrano le misure di inserimento professionale – in collaborazione con gli Uffici regionali di collocamento (URC) del Dipartimento finanze ed economia – o di inserimento sociale a cura dell’Ufficio sostegno sociale e inserimento (USSI) del Dipartimento sanità e socialità. Sono quasi un migliaio le persone coinvolte in programmi di questo tipo.

Un sistema dinamico

Il sistema dell’assistenza sociale è dinamico: sono infatti molte (tra 1’500 e 2’000) le entrate e uscite ogni anno. Tra le entrate, va segnalato come solo un quarto dei nuovi beneficiari di assistenza sociale l’anno precedente beneficiava di indennità di disoccupazione. Spicca, fra queste persone, la mancanza di formazione: un’interessante studio della SUPSI (“A 20 anni in assistenza: percorsi di vita dei giovani ticinesi beneficiari di aiuti sociali”) mostra come oltre la metà dei giovani in assistenza (55%) non ha conseguito alcun titolo di studio dopo la scuola media; pochissimi hanno iniziato una scuola medio-superiore e praticamente nessuno l’ha terminata. Vi è dunque un vuoto formativo.

Tra chi esce dall’assistenza, circa un terzo lo fa verso il mercato del lavoro e un terzo verso altre assicurazioni sociali (soprattutto AVS e AI); l’ultimo terzo lo fa invece per altre ragioni (cambiamento di domicilio, decesso, interruzione del contatto). Le categorie di persone che fanno più fatica ad uscire dall’assistenza – e dunque le categorie più sensibili – sono i giovani adulti (20-29 anni) e le persone con più di cinquant’anni (50-59).

Un incentivo per ripartire?

L’assistenza costituisce dunque un sostegno al reddito per un migliaio di persone occupate e un’indispensabile strumento di sussistenza per quasi due migliaia di persone non collocabili. Per tutti gli altri l’obiettivo deve però essere quello di ridare speranza, opportunità e magari anche una formazione a queste persone. Assistenza non può e non deve fare rima con assistenzialismo. Da prediligere sono dunque le misure di inserimento professionale – in particolare sviluppando le collaborazioni già in essere tra DFE e DSS – e sociali, specie in forme innovative. Anche perché le prime portano a un tasso di entrata nel mercato del lavoro di circa il 40%, le seconde del 20%. Persone, queste, che possono così ripartire. Ripartire per davvero. Da notare che l’investimento nelle misure di inserimento nel 2017 – oltre che ridare lavoro a più di un centinaio di persone – ha permesso perfino di risparmiare: 5.7 milioni a fronte dei 7.7 milioni che si sarebbero spesi senza fare nulla. Oltre alle imprese sociali – che piano piano prendono piede anche in Ticino – sono da approfondire il sistema della sostituzione per i giovani adulti delle indennità di assistenza in borse di studio (modello del Canton Vaud) e l’introduzione di un percorso di accompagnamento individualizzato a favore dei disoccupati che arrivano alla fine del diritto o di persone in assistenza giudicate collocabili. Importante anche il ruolo dei Comuni, che hanno un contatto di prossimità con il territorio e i cittadini, e che quindi possono agire sempre in un’ottica di accompagnamento individualizzato (Comuni ai quali occorre evidentemente garantire le risorse a questo scopo).

La prevenzione: evitare di arrivarci, in assistenza

Chiaro è che prima di tutto occorre fare in modo che le persone non ci arrivino, in assistenza. E qui è assolutamente prioritario lavorare sulla formazione, come detto un problema per una parte considerevole di chi è in assistenza. Se l’obiettivo nazionale è di portare al 95% la percentuale di giovani che ottengono entro i 25 anni un diploma secondario II (attestato federale di capacità o scuola media superiore), in Ticino ci fermiamo all’87%. Ciò significa che ogni anno perdiamo dai radar qualche centinaio di giovani che rischiano e rischieranno di finire in assistenza: bisogna qui lavorare a livello di scuola dell’obbligo, di orientamento scolastico e professionale, di formazione continua, di certificazione delle competenze e di riqualifiche professionali. E, naturalmente, di Città di mestieri, che permetterà non solo di fornire un servizio rapido ed accessibile a tutti coloro che hanno bisogno di risposte sul mondo del lavoro o della formazione, ma anche una piattaforma che permette di unire diverse politiche pubbliche attuate anche da servizi o dipartimenti diversi.

 

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No alla revisione delle borse di studio

Fra le ragioni della mia firma con riserva posta in calce al rapporto della Commissione della gestione sulla manovra finanziaria vi è sicuramente la proposta legata alle borse di studio. A prima vista può intrigare: tramutare una parte delle borse di studio per il grado terziario in prestiti, responsabilizzando maggiormente gli studenti sull’aiuto allo studio. Tuttavia una lettura più ampia della realtà in cui si muovono studenti e neolaureati pone ben più di un interrogativo sulla necessità di questa funzione pedagogica: l’assegno viene infatti già oggi accordato solamente per la durata regolare della formazione e 3 studenti su 4 svolgono già un’attività lavorativa durante gli studi per autofinanziarsi.

Inoltre, è oggi sempre più difficile trovare immediatamente un impiego anche per chi esce dall’università e, prima di trovare un’occupazione piena, stabile e ben remunerata, si è spesso obbligati a passare da vari stage per maturare quell’esperienza sempre più richiesta anche per un primo impiego. Per non parlare di un’altra realtà del nostro tempo, i posti di lavoro a tempo parziale, che oggi toccano quasi un terzo dei trentenni. Anche perché, ricordiamolo, non è che le borse di studio sostengano proprio tutti, anzi: sono accordate in modo oculato e mirato, destinate a studenti di famiglie della fascia medio-bassa, anche grazie al recente passaggio dal criterio del reddito imponibile a quello del reddito disponibile, scelto proprio per limitare gli aiuti unicamente a coloro che ne hanno davvero bisogno e prevenire eventuali abusi. Ragioni in più, queste, per non banalizzare un debito di 25’000-30’000 CHF – peraltro giudicato medio-alto dalle politiche pubbliche che si occupano di prevenzione dell’indebitamento – sulle spalle di giovani ai quali la società chiede non solo di camminare sulle proprie gambe, ma di costruirsi un futuro professionale e un progetto di vita, investendo nell’economia reale, partecipando alla vita sociale e politica, creandosi una famiglia (ricordo che un recente studio ha confermato che il fattore finanziario incide sulla scelta di fare figli). Tutti obiettivi importanti, necessari, ma non scontati; ancora meno scontati se il giovane parte con un debito sulle proprie spalle, con le inchieste che ci dicono che oltre la metà di chi ha un debito in giovane età lo porta con sé per molti anni, se non per sempre.

Mi chiedo poi se tale misura porti per davvero a un risparmio. Anche in questo caso nutro dei dubbi: per gestire il recupero dei prestiti, infatti, occorrerà più burocrazia e forse un potenziamento dell’apparato amministrativo addetto alle borse di studio (di certo sarà necessario offrire agli studenti una consulenza su come programmare il rientro finanziario, per evitare il perpetuarsi oil peggiorare della situazione). Un recupero che, l’esperienza insegna, non è nemmeno scontato: non è sempre così facile, né gratuito, riscuotere i prestiti, anche senza interessi o con tassi d’interesse minimi. Senza dimenticare che la formula dei prestiti amplia probabilmente la portata delle deduzioni fiscali per i figli agli studi, non eliminando quindi le spese dello Stato, ma semplicemente spostandole.

Un ultimo elemento, che in realtà è il primo e il più importante: intervenire nell’ambito della formazione dei giovani per riportare l’equilibrio finanziario all’interno dello Stato non può che essere l’ultima ratio, l’ultimissimo ambito di intervento, e soprattutto sempre ben ponderato. Il futuro del Cantone dipende soprattutto dalle scelte che fanno e faranno i giovani ticinesi in ogni ambito, dagli studi alla politica. A loro va lasciato campo per formarsi, per sognare, per creare, per organizzarsi e per migliorare la società. Altrimenti smettiamola di dire che i giovani sono il futuro.

*Pubblicato su La Regione Ticino di oggi

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Non solo Liceo per i giovani

La politica si batta per dare lavoro ai giovani. Dal Corriere del Ticino di oggi 3 mie IDEE per valorizzare e potenziare l’orientamento professionale: percorsi formativi alternativi al Liceo offrono infatti spesso maggiori garanzie di carriera, con giovani che dall’apprendistato finiscono a lavorare all’Agenzia spaziale europea.

  1. istituire degli incontri periodici tra orientatori e categorie professionali, in modo che la conoscenza fra scuola e lavoro sia sempre migliore;
  2. offrire alle scuole, e agli allievi, mostre, presentazioni, visite in azienda e organizzando serate con i genitori (ad esempio l’Associazione Industrie Ticinesi propone il progetto Industria We like it);
  3. rinnovare Espoprofessioni, che ha margini di sviluppo notevoli, magari introducendo incontri  sul modello della Notte dell’orientamento a Friborgo (dalle 17 alle 21; 40 aziende, 250 giovani; 340 colloqui di 15 minuti), già in essere presso i club di servizio che offrono occasioni di incontro tra professionisti e studenti per informarsi sui percorsi di studio e professionali.

Leggi l’articolo di oggi sul CdT

Leggi l’articolo su Ticinonews

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Per l’occupazione giovanile

Non ci sto!

(editoriale di Opinione liberale, 28 giugno 2013)

Negli ultimi mesi ho visto giovani laureati che si sono visti preferire persone con meno carta ma più esperienza; docenti rifiutarsi di portare gli studenti in passeggiata scolastica per protestare contro i tagli salariali e associazioni di categoria bloccare l’assunzione di apprendisti per rivendicare alcune misure a loro favore. Dopo i “baby boomers” e la “meglio gioventù”, ecco la “generazione stage”, la generazione degli “iperformati ma non ancora abbastanza”, degli “allievi senza passeggiata”. Io non ci sto, non erano questi i patti.

Ogni giovane è cosciente – e se non lo è deve rendersene conto in fretta, se non vuole prendere qualche porta in faccia – che il momento economico non è dei migliori, che i posti di lavoro sicuri e assicurati non esistono più e che, soprattutto, non sarà facile rivivere il benessere della generazione precedente. Solo impegno, tenacia, competenza e flessibilità permetteranno di emergere. Forse. Perché occorre un’opportunità, qualcuno che investe su di te. E, al di là belle parole, forse complice la congiuntura economica, l’impressione è che spesso si faccia fatica a investire su di loro: prevale la logica del corto termine, se non si giunge addirittura alla mera strumentalizzazione politica, come avvenuto recentemente, dando uno schiaffo al futuro.

Per rilanciare l’occupazione giovanile – comunque ancora positiva, se paragonata al resto del mondo – non occorre cambiare legislazione, ma mentalità: ai giovani non serve un reddito di cittadinanza garantito, servono opportunità e fiducia. Se negli Stati Uniti due giovani si chiudono in un garage e hanno un’idea che funziona, il rischio è di trovare un finanziamento da parte di aziende del venture capital; in Ticino, invece, il rischio è piuttosto che piombi loro in casa la polizia per qualche ordinanza sul rumore o sull’igiene. Anche se, fortunatamente, qualcosa si sta muovendo, pensiamo alla Fondazione Agire. Il Ticino che mi piace è quello del sostegno alle start up, quello dei 21 milioni per le borse di studio, quello che mi ha permesso di sfiorare, non ancora trentenne, la Presidenza del Partito liberale radicale ticinese. Il Ticino che osa, non quello che, per conservare privilegi e posizioni, o per pigrizia, ha paura del nuovo.

Credo nell’intergenerazionalità: vi è infatti un potenziale sociale, economico e persino occupazionale nella collaborazione fra giovani e meno giovani, perché le qualità si completano, mentre le quantità si contendono. Ma non può esistere intergenerazionalità senza apertura del sistema. I giovani non pretendono certo il tappeto rosso, ma almeno una porticina: non ne va solo del futuro di chi oggi è giovane, ne va del futuro di tutti. Altrimenti, ad esempio, chi le finanzia le assicurazioni sociali?

Prima pagina di Opinione liberale

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Easyvote.ch

Easy-vote: 45’000 giovani in più alle urne per le Federali!

È stato lanciato a Berna il progetto easy-vote, promosso dalla Federazione svizzera dei Parlamenti dei Giovani, il cui scopo è l’aumento dell’affluenza giovanile alle urne: per le elezioni federali previste a ottobre l’obiettivo è di aumentare dal 35% al 40% la percentuale di giovani votanti nella fascia d’età fra i 18 e i 30 anni, vale a dire 45’000 giovani elettori in più in tutta la Svizzera, dei quali 1’500 in Ticino. Un risultato ambizioso che si vuol raggiungere non solamente tramite l’organizzazione di dibattiti fra (giovani) candidati, conferenze sulla civica e sulle modalità di voto, collaborazioni con scuole e associazioni, ma soprattutto tramite la raccolta – effettuata sia in azioni sul territorio, sia utilizzando i più moderni mezzi di comunicazione – di promesse di voto che, se non forniranno evidentemente nessuna garanzia di voto effettivo, garantiscono sicuramente un richiamo, via e-mail o sms, a 20 e a 5 giorni dall’apertura dei seggi, in modo da ricordare la promessa effettuata in precedenza.

Leggi il mio articolo sul Corriere del Ticino di oggi

Visita il sito www.easyvote.ch

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Finanziamento temporaneo dell’AI

Contro l’egoismo intergenerazionale

Solo un SI al finanziamento temporaneo dell’AI tramite l’IVA garantirà alle future generazioni il diritto alle assicurazioni sociali distribuendone equamente i costi

Nicola Pini, vicepresidente GLRT e membro del comitato direttivo di GLRS

(pubblicato in Opinione Liberale, 19.6.2009, p. 1)

La votazione del prossimo 27 settembre inerente al finanziamento aggiuntivo dell’Assicurazione Invalidità (AI) tramite un aumento temporaneo – dal gennaio 2011 al dicembre 2017 – dell’Imposta sul valore aggiunto (IVA) solleva due questioni fondamentali per quanto riguarda i giovani e il loro futuro: in gioco, infatti, sono la responsabilità dell’equilibrio intergenerazionale e la salvaguardia a lungo termine della struttura del nostro sistema sociale.

Perché, ad essere in pericolo, non è solo l’AI, il cui debito complessivo di 13 miliardi di franchi aumenta di 4 milioni al giorno, vale a dire 2’800 CHF al minuto, ma piuttosto tutto il primo pilastro, in quanto attualmente è il Fondo di compensazione dell’AVS che copre finanziariamente il buco creato dall’AI, garantendogli così la necessaria liquidità per poter provvedere ai pagamenti delle rendite. Di questo passo, dunque, i giovani d’oggi si vedranno in futuro precludere non solo il diritto all’AI, ma pure quello relativo all’AVS: le riserve di liquidità del fondo di compensazione si riducono sistematicamente, di anno in anno, per coprire i debiti dell’AI e, se non si contrasta questa tendenza, un giorno le pensioni del primo pilastro saranno seriamente compromesse. In breve, continuando a coprire i debiti dell’AI, il fondo dell’AVS sarà prosciugato in una decina d’anni, mettendo così a repentaglio, oltre alla stessa Assicurazione Invalidità, anche il diritto all’Assicurazione Vecchiaia e Superstiti. 

Quale giovane ritengo un dovere della società del giorno d’oggi non solo migliorare, ma anche salvaguardare e garantire un importante sistema sociale che copre dei rischi ai quali tutti noi – e tocchiamo ferro! – siamo e saremo esposti: è infatti un diritto del giovane poter beneficiare, anche a lungo termine, di una protezione sociale efficace. Un dovere che non spetta solo ai lavoratori attivi, ma che deve essere allargato a tutti i componenti della società: ecco perché un giovane non può che trovarsi d’accordo con il fatto che sia tutta la popolazione ad adoperarsi per la salvaguardia dell’AI e, indirettamente, dell’AVS, tramite un aumento temporaneo dell’IVA.

Un sacrificio socialmente sostenibile, in quanto si stima che per un’economia domestica con un reddito mensile sino a 4’600 CHF la privazione equivalga ad un pacchetto di sigarette al mese, ma soprattutto un sacrificio necessario: dopo aver ripetutamente operato sulle misure di risparmio e aver inasprito l’accesso alla rendita nell’ambito delle recenti revisione dell’AI, risulta infatti difficile riproporre ulteriori tagli sulle prestazioni, che rischierebbero di compromettere l’efficacia e la credibilità dell’AI. Non siamo certamente il partito delle tasse, anzi, ma…a mali estremi, estremi rimedi! Parlamento e il Consiglio Federale, infatti, sostengono che qualsiasi altra soluzione condurrebbe a tagli insostenibili alle prestazioni, come ad esempio la riduzione del 40% delle rendite.

Occorre quindi sposare la responsabilità e la lungimiranza caratteristiche della politica liberale radicale per trovare una soluzione e, non meno importante, evitare il fantasma dell’egoismo intergenerazionale: l’aumento temporaneo dell’IVA è una soluzione a corto termine e non risolverà di certo il problema, ma permetterà quantomeno di congelare l’indebitamento, di sgravare l’AVS dalla copertura dei debiti e soprattutto di sviluppare, nell’ambito di una sesta revisione dell’AI, una strategia per un risanamento strutturale, equilibrato e a lungo termine. Posticipare la soluzione ad un problema non fa altro che acuirlo: è il momento di agire! 

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Sguardo al futuro

Visita al Consiglio Cantonale dei Giovani: oltre al disagio tra ideali e speranza 

Michele Bertini e Nicola Pini

(pubblicato in Opinione Liberale, 22.05.2009)

Venerdì 15 maggio, nella sala del Gran Consiglio di Bellinzona, una cinquantina di giovani si sono riuniti per l’Assemblea Plenaria del Consiglio Cantonale dei Giovani, allo scopo di discutere, dibattere e, infine, approvare una risoluzione all’indirizzo del Consiglio di Stato. Quest’ultima esprime le richieste, i timori e gli auspici dei giovani partecipanti, accolti ad inizio seduta dalle incoraggianti e stimolanti parole del Cancelliere Giampiero Gianella e del nostro neo primo cittadino – auguri! – Riccardo Calastri, il quale ha ricordato come i giovani debbano essere protagonisti del loro tempo futuro e delle scelte che lo condizioneranno. Il filo conduttore della giornata è ben esplicitato dal titolo “Giovani e politica: linea disturbata?”: la discussione ha dunque toccato diverse tematiche quali l’informazione e la comunicazione diretta ai giovani, sia da parte dei media sia da parte delle istituzioni, come pure la partecipazione alle decisioni politiche e, più in generale, alla vita politico-associativa.

Nove anni dopo la sua creazione, l’Assemblea Plenaria ha conosciuto un’importante novità, in quanto per la prima volta sono stati invitati i movimenti giovanili dei partiti presenti sulla scena politica ticinese: una scelta secondo noi giusta visto che, è innegabile, nel nostro sistema politico, per poter partecipare attivamente alla vita politica, è necessario avvicinarsi a un partito.

Non è un caso che all’origine di tale innovazione ci siano proprio i Giovani Liberali Radicali, i quali avevano richiesto formalmente, tramite una lettera, l’autorizzazione a parteciparvi: crediamo infatti sia molto importante ascoltare il dibattito, a volte appassionato, fra i giovanissimi partecipanti al Consiglio Cantonale dei Giovani, tutti di età compresa tra i 15 ed i 20 anni. Non è forse giusto che un movimento giovanile quale GLRT si impegni ad ascoltare e magari condividere e sostenere alcune valide opinioni e proposte formulate da questi giovani? Secondo noi SI: ecco perché – a differenza di altri movimenti giovanili… – eravamo presenti. Presenti perché crediamo nel futuro, nei giovani non solo come espressione di disagio ma anche di ideali, di speranza, d’intraprendenza e di freschezza.

Troppe volte ci sediamo sugli allori, ripetendo ad oltranza che “Siamo il partito che ha scritto la storia del Canton Ticino”: è sicuramente  bello – e probabilmente anche giusto e meritato! – vantarsi di tale prestigiosa eredità, noi però vogliamo essere il partito che oltre ad averla scritta, la Storia del Cantone, continuerà a scriverla, traghettando con equilibrio e lungimiranza il nostro Paese nelle impegnative sfide future che ci attendono.

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