Approvati gli edifici dismessi 2

Approvate dal Gran Consiglio le proposte per rivitalizzare gli edifici industriali dismessi!

In un momento in cui il territorio scarseggia e l’economia boccheggia, la politica deve focalizzare lo sguardo sugli oltre 1’100 edifici industriali dismessi disseminati su tutto il territorio cantonale, attivandosi concretamente per stimolare, sostenere e promuovere la loro rivitalizzazione, facendo convergere da un lato lo sviluppo economico e, dall’altro, lo sviluppo territoriale. Prima di pensare a nuove costruzioni sarebbe infatti meglio pensare a come riutilizzare l’esistente, dando vita a progetti innovativi di interesse pubblico. Così facendo avremo sia benefici economici – il rilancio degli edifici dismessi con nuove attività, insediamenti, progetti e posti di lavoro – sia territoriali – estetici, ma anche di protezione, razionalizzazione e valorizzazione del territorio e degli spazi pubblici – sia sociali, culturali o turistici, a dipendenza dell’uso che si farà di questi edifici. Oltre Gottardo vi sono già ottimi esempi: vecchi stabilimenti industriali che sono diventati non solo nuove aziende, ma anche appartamenti, teatri, ristoranti, perfino scuole. Anche il Ticino si sta lentamente muovendo in questa direzione, pensiamo ad esempio alla riconversione in loft, museo e luogo per eventi della fabbrica di cioccolato Cima Norma in Valle di Blenio, o alla Polus di Balerna, o ancora alla parziale riconversione da fabbrica di tabacchi a centro per eventi – nominato recentemente il più bello della Svizzera – del Centro Dannemann di Brissago.

Per proseguire su questa via, ho messo sul tavolo due proposte, oggi approvate dal Gran Consiglio (vedi rapporto commissionale di Michele Guerra). Con la mozione inoltrata a nome del Gruppo PLR abbiamo chiesto al Consiglio di Stato non solo di aggiornare lo studio dell’Accademia di architettura di Mendrisio relativo alla mappatura e alle potenzialità degli edifici industriali dismessi, ma anche di impegnarsi per riattivare queste potenzialità attraverso, ad esempio, la creazione di un profilo che agisca sul terreno (finanziato dalla politica economica regionale), l’inserimento degli edifici nel catalogo dei terreni a disposizione degli enti pubblici e la definizione di incentivi pianificatori.

Con l’iniziativa parlamentare – presentata in collaborazione con i colleghi De Rosa, Durisch e Guerra a nome della Commissione della Gestione e delle Finanze – ci siamo invece spinti ancora più in là, proponendo di stanziare un credito quadro di una decina di milioni da destinare a progetti di rivitalizzazione degli edifici industriali dismessi di particolare interesse pubblico, economico, sociale o culturale. Un primo esempio, concreto, lo potremo avere con l’area adiacente all’area multiservizi e al centro di controllo per veicoli pesanti lungo l’autostrada A2 a Giornico, con la riqualifica del sedime della storica Monteforno.

Accogliendo i due atti parlamentari e mettendo in atto una vera e propria strategia di recupero degli edifici industriali dismessi, la politica ha dato oggi prova di grande progettualità, legando economia e territorio, conservazione e innovazione, e, quel che più conta, passato e futuro!

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Onsernone da Gresso

Via libera al credito ponte per portare al voto popolare il Parco Nazionale del Locarnese

Oggi il Gran Consiglio ha approvato il mio rapporto – elaborato insieme al collega Franco Denti – per stanziare 1.5 milioni per i Parchi nazionali di Adula (400’000 CHF) e Locarnese (1’100’000 CHF). Il credito permetterà di concludere con una votazione popolare un lungo percorso di candidatura, come anche di finanziare tutta una serie di progetti sul territorio, dal territorio e per il territorio. Cerchiamo di conciliare protezione del paesaggio e sviluppo economico! Bene inteso, nessun Parco si farà senza la volontà dei cittadini dei Comuni coinvolti.

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formazione

Je suis nagott dal tütt: elogio della complessità

“Io sto con le guardie di confine”; “Io sto con Bosia Mirra”; “Je suis Charlie”: slogan nati per gridare la nostra indignazione. Inizialmente erano potenti, ci univano, ci facevano riflettere e agire, spingendo – si sperava – verso un reale cambiamento, forse anche un ritorno a rinnovata e concreta militanza, alla riscossa di un impegno civico reale, in politica come nel sociale.

Ma questo slancio positivo è stato distorto. Se ne è abusato talmente tanto che oggi questi slogan – che si moltiplicano, per numero ma non per potenza – sembrano frasi stanche, vuote e facilotte. Schierarsi roboantemente diventa quasi facile come indossare un maglione: oggi mi va un bel rosso, domani invece provo il blu, senza troppo impegno. Ma la vita, e i principi, sono complessi, un fardello ben più impegnativo da portare di un indumento. Nella maggior parte dei casi la realtà non è bianca o nera, ma composta da sfumature di grigio e argento: sfumature che rendono impossibile calare un giudizio netto e tranciante nel giro di dieci secondi, nemmeno quando il tema sembra semplice e scontato. Non dobbiamo esprimerci su tutto, quello che invece abbiamo il dovere di fare è cercare di capire prima di sentenziare. E prenderci l’impegno di approfondire. Quanti sono realmente i rifugiati in Ticino? Quanti di questi ottengono risposta affermativa alla richiesta di asilo? Quale è il ruolo del Cantone, o di Caritas o Soccorso operaio? I richiedenti l’asilo possono fare lavori di pubblica utilità, e in che termini? Cosa possono fare i Comuni? Chi sono gli ammessi provvisori? Cosa dicono gli accordi di Dublino? E sui minori non accompagnati? Qual è il margine politico per le autorità a livello cantonale? Apro facebook e sembriamo tutti interessati ed esperti; vado a una serata informativa sul tema e siamo malapena in quindicina in sala. Peccato, perché il cambiamento richiede più della rabbia e dell’indignazione: per il cambiamento, quello vero, sono necessari preparazione, approfondimento, costanza, dialogo, lavoro.

È il momento di rivendicare il diritto a informarci prima di calare un hastag, a tuffarci nella complessità delle situazioni e delle persone prima di improvvisarci – spesso per un periodo troppo breve – hooligan scatenati. E prima, che è ancora peggio, di credere che la vita sia davvero così semplice e riducibile a un “pro” o a un “contro”. Indigniamoci pure, creiamo slogan, ma per cercare il cambiamento, non per pontificare. E ai molti “Je suis…” rispondiamo “Non, je lis, j’écoute, j’essaie de comprendre, je discute, je fais”.

* Pubblicato in Opinione Liberale di oggi

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borse per sito

No alla revisione delle borse di studio

Fra le ragioni della mia firma con riserva posta in calce al rapporto della Commissione della gestione sulla manovra finanziaria vi è sicuramente la proposta legata alle borse di studio. A prima vista può intrigare: tramutare una parte delle borse di studio per il grado terziario in prestiti, responsabilizzando maggiormente gli studenti sull’aiuto allo studio. Tuttavia una lettura più ampia della realtà in cui si muovono studenti e neolaureati pone ben più di un interrogativo sulla necessità di questa funzione pedagogica: l’assegno viene infatti già oggi accordato solamente per la durata regolare della formazione e 3 studenti su 4 svolgono già un’attività lavorativa durante gli studi per autofinanziarsi.

Inoltre, è oggi sempre più difficile trovare immediatamente un impiego anche per chi esce dall’università e, prima di trovare un’occupazione piena, stabile e ben remunerata, si è spesso obbligati a passare da vari stage per maturare quell’esperienza sempre più richiesta anche per un primo impiego. Per non parlare di un’altra realtà del nostro tempo, i posti di lavoro a tempo parziale, che oggi toccano quasi un terzo dei trentenni. Anche perché, ricordiamolo, non è che le borse di studio sostengano proprio tutti, anzi: sono accordate in modo oculato e mirato, destinate a studenti di famiglie della fascia medio-bassa, anche grazie al recente passaggio dal criterio del reddito imponibile a quello del reddito disponibile, scelto proprio per limitare gli aiuti unicamente a coloro che ne hanno davvero bisogno e prevenire eventuali abusi. Ragioni in più, queste, per non banalizzare un debito di 25’000-30’000 CHF – peraltro giudicato medio-alto dalle politiche pubbliche che si occupano di prevenzione dell’indebitamento – sulle spalle di giovani ai quali la società chiede non solo di camminare sulle proprie gambe, ma di costruirsi un futuro professionale e un progetto di vita, investendo nell’economia reale, partecipando alla vita sociale e politica, creandosi una famiglia (ricordo che un recente studio ha confermato che il fattore finanziario incide sulla scelta di fare figli). Tutti obiettivi importanti, necessari, ma non scontati; ancora meno scontati se il giovane parte con un debito sulle proprie spalle, con le inchieste che ci dicono che oltre la metà di chi ha un debito in giovane età lo porta con sé per molti anni, se non per sempre.

Mi chiedo poi se tale misura porti per davvero a un risparmio. Anche in questo caso nutro dei dubbi: per gestire il recupero dei prestiti, infatti, occorrerà più burocrazia e forse un potenziamento dell’apparato amministrativo addetto alle borse di studio (di certo sarà necessario offrire agli studenti una consulenza su come programmare il rientro finanziario, per evitare il perpetuarsi oil peggiorare della situazione). Un recupero che, l’esperienza insegna, non è nemmeno scontato: non è sempre così facile, né gratuito, riscuotere i prestiti, anche senza interessi o con tassi d’interesse minimi. Senza dimenticare che la formula dei prestiti amplia probabilmente la portata delle deduzioni fiscali per i figli agli studi, non eliminando quindi le spese dello Stato, ma semplicemente spostandole.

Un ultimo elemento, che in realtà è il primo e il più importante: intervenire nell’ambito della formazione dei giovani per riportare l’equilibrio finanziario all’interno dello Stato non può che essere l’ultima ratio, l’ultimissimo ambito di intervento, e soprattutto sempre ben ponderato. Il futuro del Cantone dipende soprattutto dalle scelte che fanno e faranno i giovani ticinesi in ogni ambito, dagli studi alla politica. A loro va lasciato campo per formarsi, per sognare, per creare, per organizzarsi e per migliorare la società. Altrimenti smettiamola di dire che i giovani sono il futuro.

*Pubblicato su La Regione Ticino di oggi

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Vitta Pini Ferrara Farinelli

SI del Consiglio di Stato al telelavoro

Lo scorso mese di marzo, con Natalia Ferrara e altri colleghi (Ay – Bang – Beretta Piccoli – Bosia Mirra – Cavadini – Fonio – Garobbio – Gendotti – Ghisolfi – Gianella – Kandemir Bordoli – Käppeli – Kappenberger – La Mantia – Lurati Grassi – Maggi – Merlo – Quadranti – Rückert) abbiamo chiesto al Consiglio di Stato di attivarsi affinché la pubblica amministrazione autorizzi – naturalmente nelle posizioni dove è possibile – uno o due giorni di telelavoro settimanali, con l’obiettivo di migliorare la conciliabilità tra vita professionale e vita famigliare, diminuire traffico e inquinamento, creare opportunità di sviluppo per le zone periferiche, diminuire costi per Stato e aziende e migliorare la qualità di vita dei dipendenti. (vedi mozione) Nello specifico abbiamo chiesto al Governo di procedere prima alla realizzazione di alcuni progetti pilota, e successivamente a un’analisi specifica delle funzioni, all’attuazione di una specifica base legale e a una pianificazione in questo senso, come anche alla formazione e sensibilizzazione dei quadri dirigenti.

Oggi il Consiglio di Stato, prendendo posizione in merito, ha accolto nel principio la nostra proposta, riservandosi di sviluppare nel merito le modalità operative più appropriate. Un apposito gruppo di lavoro interdipartimentale è stato creato con l’intento di attuare una valutazione approfondita sulla fattibilità dell’implementazione, in particolare attraverso l’identificazione dei servizi più idonei e successivamente una fase di test. Sulla base dell’esperienza effettuata – afferma il Consiglio di Stato nel suo rapporto – sarà possibile valutare l’effettiva realizzabilità del concetto e l’estensione ad altri settori, le modalità operative, l’adeguamento delle basi legali e gli strumenti necessari all’eventuale implementazione del telelavoro. Inoltre, il telelavoro è stato inserito anche nelle misure sostenute dal fondo per la mobilità aziendale: le aziende che lo applicheranno per ridurre gli spostamento potranno dunque beneficiare di un incentivo finanziario.

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Dumping CdT

Un Patto di Paese contro il Dumping

Ci sono gli estremismi: da una parte l’iniziativa contro il dumping che vuole creare a suon di decine e decine di milioni uno Stato di polizia e un controllo totale su economia, salari e lavoratori; dall’altra chi non vorrebbe nessun tipo di controllo e nessuna ingerenza dello Stato nei rapporti di lavoro. In mezzo c’è il controprogetto elaborato dal Gran Consiglio e sostenuto dalla quasi totalità dell’arco istituzionale, politico e delle parti sociali.

Un controprogetto che vuole combattere realmente il dumping salariale e sociale aumentando quantità e qualità dei controlli nel mercato del lavoro, fornendo alle Commissioni paritetiche – composte da sindacati e datori di lavoro e incaricate di vigilare sul rispetto dei contratti collettivi di lavoro – e allo Stato – per i settori attualmente non coperti da CCL – ulteriori risorse per svolgere il ruolo di garanti del rispetto delle regole del gioco.

Il controprogetto – al contrario dell’iniziativa, che necessiterebbe dell’assunzione di un centinaio di nuove unità, costerebbe 40 milioni, svilirebbe il partenariato sociale e sommergerebbe di burocrazia Stato e aziende – è immediatamente applicabile e permette con una decina di milioni in 4 anni di migliorare l’attuale sistema di controlli, identificando e combattendo realmente il dumping là dove si presenta. Si va in effetti ad affinare ulteriormente un sistema che da un lato già oggi prevede un alto numero di controlli – quasi il 25% dei datori di lavoro viene controllato annualmente, a fronte di una media svizzera del 5% – e che, dall’altro, in caso di abusi può intervenire con la definizione di contratti normali di lavoro con salari minimi vincolanti (in Ticino ne sono già stati decretati 16) o con sanzioni che, grazie al lavoro di Consiglio di Stato e Deputazione ticinese alle Camere, arriveranno presto fino a 30’000 CHF (mentre ora non si va oltre i 5’000 CHF). Siamo dunque – e grazie al controprogetto voluto dal parlamento cantonale lo saremo sempre di più – all’avanguardia a livello svizzero, a riprova di come il tema del lavoro sia fortunatamente caro a tutti.

*Pubblicato sul Corriere del Ticino di oggi

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Foto CdT

Politica e questione di genere: intervista doppia con Giovanna Viscardi

Sul Corriere del Ticino di oggi un’intervista doppia sulle questioni di genere con la collega di Gran Consiglio, e amica, Giovanna Viscardi. Credo fermamente che permettere di conciliare vita professionale e vita personale/famigliare sia una delle sfide prioritarie della politica di oggi, anche perché tocca da vicino non solo le donne, ma una generazione intera, quella dei trentenni e quarantenni. Da qui, peraltro, la mia battaglia per introdurre nuove modalità di lavoro e regole più flessibili: una su tutte il telelavoro, oggetto di una mozione inoltrata insieme a Natalia Ferrara Micocci.

Per leggere l’intervista clicca qui: Pini – Viscardi CdT

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Repububblica e Cantone Ticino

Mozione – Per un Ticino presente a Nord come a Sud

A partire dal primo agosto 2016, quando Jörg De Bernardi assumerà la carica di secondo Vicecancelliere della Confederazione, a Consiglio di Stato e Deputazione ticinese alle Camere federali verrà a mancare – per loro stessa ammissione – una figura importante. In poco tempo – la funzione è stata istituita nel 2011 – il Delegato per i rapporti confederali ha infatti permesso di rafforzare la presenza ticinese a Berna, interagendo con l’amministrazione federale e la politica nazionale, contribuendo in maniera determinante al dialogo tra gli orsi bernesi e la foca bellinzonese, oltre che al coordinamento delle attività istituzionali e politiche sotto il Cupolone. Fra i dossier sbloccati su mandato del Governo cantonale, al di là dei giudizi di valore in merito ai singoli temi, vi sono ad esempio il risanamento del tunnel autostradale del San Gottardo, le proposte per il rafforzamento delle misure di accompagnamento e di altre misure a tutela del mercato del lavoro ticinese, la proposta ticinese di una clausola di salvaguardia «bottom-up», la creazione di una base legale per l’apertura domenicale di centri commerciali per soddisfare i bisogni del turismo internazionale.

Con l’apertura di Alp Transit la necessità e l’urgenza di un collegamento anche politico con il resto della Svizzera non si esauriscono, si fanno anzi più impellenti. Da qui l’esigenza – peraltro già ribadita anche dalla Deputazione ticinese alle Camere federali – di procedere al più presto alla sostituzione di De Bernardi, riattivando la figura del Delegato per i rapporti con la Confederazione e i Cantoni, accanto e in collaborazione con la figura del Delegato per i rapporti transfrontalieri e internazionali.

Anche perché le sfide future non mancano, a Nord come Sud, soprattutto per un Cantone, come il Ticino, che deve affrontare problematiche – lavoro, mobilità, sicurezza, sviluppo economico – che non dipendono solo da ciò che avviene sul proprio territorio, ma che sono strettamente legate sia a decisioni di politica federale, sia a fenomeni transfrontalieri. Da qui l’importanza strategica delle due funzioni e il loro valore addizionale nel contesto intercantonale.

I sottoscritti Deputati, convinti dell’importanza per il nostro Cantone di intrecciare solide relazioni a Nord e a Sud, chiedono dunque al Lodevole Consiglio di Stato di procedere alla nomina del nuovo Delegato per i rapporti con la Confederazione e i Cantoni, da riattivare al più presto accanto alla figura del Delegato per i rapporti transfrontalieri e internazionali, in modo da continuare a svolgere un ruolo attivo e propositivo a livello nazionale e internazionale, a tutto beneficio del Canton Ticino. 

Nicola Pini

Fiorenzo Dadò – Ivo Dürish – Alex Farinelli – Francesco Maggi

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Mozione – Meno traffico e costi, più sviluppo, qualità di vita e migliore conciliabilità tra lavoro e famiglia grazie al telelavoro

Il telelavoro – inteso come il lavoro fornito regolarmente e in maniera organizzata da casa – è una risposta innovativa, razionale e lungimirante all’evoluzione della società. Sono infatti molti i vantaggi che, a medio termine, decollerebbero a partire da un cambio di mentalità e di organizzazione del tempo di lavoro:

  • miglioramento della conciliabilità tra vita professionale e vita famigliare, con maggiori possibilità per donne e uomini di coniugare lavoro e famiglia con conseguente realizzazione personale;
  • diminuzione di traffico e inquinamento, grazie a un abbattimento degli spostamenti per ragioni di lavoro (il 25% del totale) che in media ci rendono improduttivi per una quarantina di minuti al giorno e che uno studio dell’università svedese di Umeà identifica come sempre più causa di stress e divorzi;
  • opportunità di sviluppo per le regioni periferiche, che diventerebbero maggiormente attrattive quali luoghi di residenza;
  • diminuzione dei costi per aziende e Stato (trasporti, rimborsi spese, logistica, uffici) che il professore dell’Università di San Gallo Oliver Gassmann quantifica fino al 30% per ogni posto di lavoro. Basti pensare che negli Stati Uniti – dove una legge del 2010 obbliga l’amministrazione pubblica a proporre se possibile il telelavoro – l’Ufficio brevetti ha imposto il 40% delle ore attraverso tale modalità di lavoro, ottenendo un risparmio di oltre 4 milioni di dollari e una riduzione del 30% della superficie degli spazi di ufficio;
  • benefici per i datori di lavoro grazie alla crescita della produttività, dell’efficienza e del rendimento dovuto a maggiori motivazione e concentrazione (secondo uno studio britannico due giorni di telelavoro porterebbero a un aumento della produttività sino al 20%); con diminuzione dell’assenteismo e beneficio di immagine per il datore di lavoro;
  • miglioramento delle condizioni di lavoro e della qualità di vita per i dipendenti: miglioramento della salute e maggiore flessibilità, libertà e autonomia a fronte di minori spese (meno costi di trasporto) e più tempo (meno spostamenti e migliore organizzazione).

Un tale approccio dovrebbe evidentemente diffondersi nella cultura aziendale e nel mondo del lavoro – in questo senso alcuni incentivi andrebbero forse studiati, come andrebbe stimolato un discorso fra le parti sociali – ma il buon esempio e le buone pratiche possono evidentemente venire dal pubblico. Come peraltro già fa la Confederazione, la quale permette a collaboratori e collaboratrici, laddove le esigenze aziendali lo consentono, un parziale lavoro da casa.

Visto quanto precede, i sottoscritti deputati chiedono al Consiglio di Stato di attivarsi affinché la pubblica amministrazione autorizzi – naturalmente nelle posizioni dove è possibile – uno o due giorni di telelavoro settimanali. Nello specifico si chiede che il Governo proceda prima alla realizzazione di alcuni progetti pilota, e successivamente a un’analisi specifica delle funzioni, all’attuazione di una specifica base legale e a una pianificazione in questo senso, come anche alla formazione e sensibilizzazione dei quadri dirigenti.

Nicola Pini e Natalia Ferrara Micocci

Massimiliano Ay – Henrik Bang – Sara Beretta Piccoli – Lisa Bosia Mirra – Samuele Cavadini –Giorgio Fonio – Milena Garobbio – Sabrina Gendotti – Alessandra Gianella – Nadia Ghisolfi – Pelin Kandemir Bordoli – Fabio Käppeli – Giovanni Kappenberger – Luigina La Mantia – Tatiana Lurati Grassi – Francesco Maggi – Tamara Merlo – Amanda Rückert – Matteo Quadranti

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